Una
fiaba che svela il perché si addobba l'albero con decorazioni, festoni
e fili d'oro.
C'erano una volta, tanto tempo fa degli antichi popoli pagani che abitavano nelle fredde terre della Scandinavia. A partire dal solstizio invernale, cioè nei giorni più corti dell'anno, tutti i componenti delle famiglie si riunivano intorno al fuoco, per ripararsi dal freddo.
Era un vero e proprio momento di svago e un'occasione per stare insieme: si cantavano canzoni popolari, si raccontavano storie, ci si scambiava doni e si celebravano i riti pagani. Tra questi, quello più festeggiato era quello del ceppo bruciato per allontanare i giorni corti, che portavano il buio e far tornare i giorni con la luce.
Questo ceppo doveva essere scelto tra i tronchi più grandi, preferibilmente di quercia, la quale simboleggia la forza e la solidità e veniva arso davanti alla famiglia riunita. In questo modo simbolicamente si bruciava il passato e si coglievano i segni del futuro: le scintille che salivano al cielo simboleggiavano il ritorno dei giorni lunghi. I doni scambiati tra parenti e amici erano simbolo di abbondanza. La cenere che il falò aveva prodotto veniva raccolta e, quindi, sparsa nei campi, con la speranza che portasse abbondanti raccolti.
Oggi questi simboli si ritrovano nel nostro albero di Natale e le nelle strade delle nostre città: le luci e le illuminazioni sono le scintille del falò, le palle e le decorazioni sono speranze di prosperità, l'abete sempreverde la speranza di rinascita, i fili d'oro e d'argento i capelli delle fate. In questo modo, la tradizione pagana si è unita a quella cristiana: la luce allunga le giornate e Gesù Bambino nasce per salvare il mondo.
Poiché secondo alcune credenze pagane l'abete veniva identificato come "l'albero cosmico", cioè come la manifestazione divina del cosmo, successivamente in esso venne identificato lo stesso Gesù Cristo. L'illuminazione dell'albero è la luce che Cristo getta sull'umanità, mentre i frutti, i doni e le decorazioni simboleggiano la Sua generosità verso di noi.