Le feste più suggestive durante l’inverno sono sempre state quelle di Natale e di Epifania.
A
Natale, ritornavano dopo lunga assenza gli emigranti e le famiglie, finalmente
riunite, si raccoglievano a sera davanti al larin (focolare) ad ascoltare i più
anziani che raccontavano episodi della loro vita di lavoro e di naia e
rievocavano le storie e i ricordi più cari del passato, mentre i giovani
stavano ad ascoltarli curiosi e pieni di meraviglia. A Natale il pasto era
sempre più sostanzioso del solito e per i fanciulli arrivava anche
qualche dolce preparato dalle mamme. Le abbondanti nevicate invitavano la gente
a trascorrere le giornate nella stalla che era l’ambiente più tiepido.
Nella
sera della vigilia di Natale si bruciava el zoc, un grosso ceppo
di legno che durava tutta la notte par scaldar al Signor che el vien i
cui resti venivano conservati per bruciarli alla minaccia del tempo. Questo rito
sembra derivare dalla primordiale festa della “nascita del sole” cadente nel
periodo. Si bruciava pure sterpaglia e rimasugli dei campi; questi falò
indicavano la via ai Magi e ai pastori. L’originale significato propiziatorio
è evidente: si brucia il passato (l’impurità) nella speranza di un futuro
migliore (il nuovo raccolto), preparando contemporaneamente il campo alla semina
di primavera. Prima di mezzanotte si portava un po’ di fieno alle bestie in
segno di gratitudine (il bue che scalda Gesù).
ORIGINE
DELLA FESTA
La
festa di Natale sarebbe
stata istituita nell’anno 138 dal vescovo Telesforo. Ma per decenni, la data
esatta restò incerta: il giorno della Natività cambiava a seconda delle
località. Venne scelto il 25 dicembre (il primo testo documentario è a Roma,
attorno al 330) soprattutto per contrapporre le festività pagane del solstizio
d’inverno, chiamate “Saturnali” della durata di una settimana e del giorno
dedicato alla “nascita” del Sole, il Natalis Solis Invicti,
il Natale del Sole Invitto, importante festa mitraica di Roma in cui si
celebrava con cerimonie grandiose e giochi il nuovo sole “rinato” dopo il
solstizio invernale.
BABBO
NATALE E SAN NICOLO’
In
Italia i regali ai bambini vengono portati da Gesù Bambino (o da Babbo Natale)
nella notte tra il 24 e il 25 dicembre. Nei Paesi anglosassoni, invece, la
distribuzione inizia già dal 6 dicembre, festa di San Nicolò, come si usa
anche a Belluno. In altre parti d’Italia ci sono altri Santi Protettori a
portare i doni, come S. Lucia o S. Ambrogio.
S.
Nicolò di Bari, una delle tradizioni più care alla nostra gente che allieta il
cuore a grandi e piccoli. I
bambini, prima di andare a letto, predisponevano su una finestra un piatto
ricolmo di fieno, avena e crusca per sfamare il musét, l’asinello e il
pane e vino per il Santo, perché entrambi stanchi per il lungo errare, poi
correvano a nanna a sentire suonare per le vie del paese un tintinnare di
campanelli. Al mattino si alzavano dal letto ancora in pigiama per vedere ciò
che il Santo aveva portato e allora San Nicolò benedet, se la mamma no
ghe met, el piatto resta net. Una volta erano solo frutti, sondoe,
kornoi, nosele ma ora S. Nicolò è diventato più ricco. Questo santo
del Nord è chiamato sankt Nikolaus e in America Santa Claus
(dalla storpiatura del nome latino Sanctus Nicolaus). Viene
rappresentato come il nostro Babbo Natale. Un vecchio dalla lunga barba bianca,
con l’abito e il berretto rossi, su una slitta trainata da renne. San Nicola
è realmente esistito. Nato a Patara, nell’odierna Turchia, attorno al 270,
divenne vescovo e morì attorno al 352.
Nel 1087 le sue spoglie furono trafugate da alcuni mercanti di Bari;
questa città lo proclamò suo patrono e gli dedicò una grande basilica. È
protettore della Russia e della Grecia, dei naviganti, dei giovani e
delle confraternite. A Roma, 26
chiese sono a lui dedicate.
La
tradizione popolare ne ha fatto la figura di un buon vecchio che regala doni,
grazie ad alcuni miracoli che gli sono attribuiti. Avrebbe risuscitato tre
bambini uccisi da un uomo e avrebbe salvato tre sorelle che non potevano
sposarsi per mancanza della dote e che il padre voleva vendere come schiave.
Nicola, entrato di nascosto in casa, lasciò una borsa con le monete per il
matrimonio. La fantasia popolare ha trasformato la borsa nel sacco pieno di
dolci e giochi e la mitra vescovile nel berretto a punta di Santa Claus.
L’ABETE
E IL PRESEPIO
Sono
da secoli i simboli del Natale. L’albero,
d’origine nordica, era quasi sconosciuto in Italia fino agli inizi di questo
secolo. L’usanza avrebbe tradizioni antiche. In Egitto si costruiva una
piccola piramide di legno con un “disco solare” in punta, che poi veniva
bruciata. Nella Roma imperiale, in primavera i giovani portavano in giro un pino
per annunciare l’arrivo della bella stagione. Nell’albero che restava verde
anche d’inverno, i popoli del Nord Europa vedevano un simbolo della vita. Sono
stati però i luterani tedeschi a usare l’abete come legno del Natale.
Il
primo presepe, secondo la tradizione, fu “inventato” da San Francesco
d’Assisi nel 1223 in una grotta di Greccio, in provincia di Rieti. Egli preparò una mangiatoia dove pose un neonato e
vi condusse un bue e un asinello. Con il tempo quella prima rappresentazione
vivente si è arricchita degli altri personaggi del vangelo (la Madonna, S.
Giuseppe, i pastori).
I
BIGLIETTI D’AUGURI
L’invenzione
dei biglietti d’auguri natalizi da mandare a famigliari e ad amici viene
attribuita al conte perugino Niccolò Monte Mellini che nel 1709 scrisse alcune
poesie e frasi di buon auspicio su cartoncini, consegnati a parenti e
conoscenti. L’idea, pur apprezzata, si diffuse soltanto all’inizio
dell’Ottocento, quando due tipografi milanesi iniziarono a vendere cartoncini
augurali disegnati.
EPIFANIA
Intanto
i giorni si allungavano come dice
l’antico adagio: a Nadal an pas de ‘n gal, a Paskuéta meda oréta.
Pasquetta (nel Veneto, popolarmente, chiamata Pasqua Pifania) o
Epifania o Befana Un altro giorno
di festa, particolarmente per i bambini impazienti di appendere sotto la napa
(cappa del camino) la calza che al mattino seguente, nei tempi
passati ritrovavano piena di noci, bagigi (arachidi), strakaganàse
(castagne secche), skorzìntole (pezzi di frutta secca),
kòrnoi (corniole) e altri frutti mentre ora i regali
sono assai più ricchi e vari. Per i bimbi cattivi, al posto della Befana
arrivava la Redosega, chiamata anche Maràntega o Donaza
o Stria o Vecia cuca che amava far dispetti e
villanie e che, al posto di bei doni veniva a portare carbone, ossi e zéndro
(cenere). Un elemento significativo è la presenza del fuso nelle mani della Redosega.
Il fuso arcaicamente era l’attributo delle Grandi Madri, come Ishtar,
Atargatis, Artemide, Athena, che presiedevano alla vita e alla morte degli
uomini.
Il giorno dell’Epifania l’acqua veniva benedetta in chiesa e quindi portata per i campi aspargendo gli angoli a titolo di buon auspicio.