29
settembre
Il
dono di sé
Debbo
fare la mia confessione, quella che mi trovò impreparato sotto la grande pietra
quando sognai che ero morto e che venivo giudicato da Dio, quella sera in cui
faceva freddo e negai una coperta ad un povero vecchio. E questo lo feci per
paura di tremare nella notte.
Qualche
mese dopo l'episodio della coperta negata, trovai un tenente medico della
Legione Straniera che mi disse: «Fratel Carlo, se passate a Tazrouk, andate a
trovare gli accampamenti di Uksem: vedrete dei poveri veramente poveri».
Senza
pensare che era Iddio che voleva insegnarmi qualcosa di nuovo, alla prima
occasione cercai le tende indicatemi dal medico. Giunsi un mattino all'alba e
faceva ancora freddo. Mi condussero vicino ad una tenda isolata dove c'era una
donna che moriva. Era una schiava negra senza marito ma con un figlio piccolo
piccolo. Entrai nella tenda: uno squallore indicibile.
La povera era stesa su una stuoia di erbe secche, tremava.
Era
coperta di uno straccio di cotone blu, il colore caratteristico dei Tuareg, suoi
padroni. Era tutto sbrindellato e certo non poteva scaldarla. Accanto, avvolto
in una mezza coperta di lana c'era il bimbo. Anche dinanzi alla morte, questa
povera donna aveva preferito tremare lei e scaldare il bambino.
Questa
donna povera, non cristiana, obbligata alla prostituzione dai padroni, che non
contava un nulla di nulla, che moriva come muoiono i veri poveri del Terzo
mondo, aveva realizzato col suo figlio l'amore perfetto, lo aveva amato fino al
sacrificio, e con tale semplicità, come se nulla fosse, come cosa di nessuna
importanza. Mi sentii arido come la sabbia e umiliato da una sublimità divina,
vissuta da quella donna nella semplice natura, che io non avevo saputo vivere
nella superiorità della grazia.
Dio era presente sotto quella tenda infinitamente povera e con quella creatura da nessuno valutata e stimata, che aveva compiuto un atto degno dell'amore di Gesù sul Calvario: il dono di sé, gratuitamente, semplicemente.