9 ottobre

Povero e ricco

Vediamo intanto cosa significhi nel pensiero di Gesù la parola: «il povero»; e il suo contrario: «il ricco».

Poche parole sono state più cambiate, con l'andar dei seco-li, di questa: «il povero».

Il povero in senso biblico non è il pitocco, l'affamato, il disoccupato; è l'uomo normale che ha casa, figli, lavoro, che veste come tutti gli altri, che va al mercato, all'ufficio, che si compra un soprabito se ha freddo e va dal medico se è malato. E l'uomo normale, il ministro, il vescovo, il contadino, l'artigiano, il vecchio, il ragazzo, la mamma, l'artista, il poeta, l'operaio.

E l'uomo!

Ma quale uomo può dirsi povero nel senso evangelico? L'uomo che sotto la spinta del dolore o sotto la luce di Dio prende coscienza di ciò che significa essere uomo.

E l'uomo che scopre il suo limite, che entra nel mistero di ciò che significa essere creatura, non creatore.

E l'uomo che sa di essere malato, piccolo, debole, vulnerabile, ignorante, peccatore, bisognoso di tutto, in balla della storia e della malvagità, reso umile, discreto dall'esperienza dolorosa e angosciosa, assetato di aiuto e di amore.

Insomma, il povero è l'uomo che ha scoperto il suo limite. Ed è beato, o diventa beato, se accetta tale limite come proveniente dalle mani di Dio e per realizzare il Regno. Naturalmente, in questa categoria entrano anche i pitocchi, gli affamati, gli straccioni — e come c'entrano! — ma non sono i soli, e non è detto che, per il fatto che sono senza cibo, siano beati.

Solo chi accetta per amore la sua miseria diventa «beato».

indice Carlo Carretto 2005