22 aprile
L'esperienza di Dio
Quando salivo sul Subasio sotto il sole avevo l'impressione che la luce mi penetrasse dentro il corpo e con la luce la gioia.
E allora che mi andavo chiedendo come fosse possibile per me essere triste.
Quella luce era la creatura di Dio che più mi significava la sua presenza e che penetrando in me percorreva lo stesso cammino che Dio percorreva per cercarmi e parlarmi.
Non ho mai avuto difficoltà a pensare le creature, tutte le creature come messaggere di Dio, segno di Lui.
Esse, le creature, hanno il potere di condurci adagio adagio alla contemplazione che, avendo bisogno anche del nostro impegno, è chiamata «contemplazione acquisita» ed è fonte di grande gioia.
Il mistero era lo spazio disteso da Dio attorno a me per il rispetto della mia piccolezza e della mia libertà.
Era la penombra della sublime alcova dove il Tutto e il Nulla s'incontravano per abbracciarsi e conoscersi sempre più nel profondo e svelarsi senza violenza e senza bruciarsi gli occhi per la troppa luce.
Il vento era il segno della mobilità delle cose, della loro spinta inesausta alla ricerca, la voce dell'amato che arriva improvviso, l'esperienza di Lui che giungeva a togliermi dalla solitudine, carezza sempre possibile, composizione e urto inesausto per una crescita continua.
Anche la Pentecoste era stata segnalata dal vento come da un uragano che scuote le porte.
Che dire poi del fuoco?
La vita, la morte, il tempo, lo spazio, l'infinito, la terra, il cielo, l'amore, la santità, il dolore, la gioia, l'abbraccio. Tutto, tutto poteva essere significato dal fuoco anche il perché della vita: inesausto dono di sé, calore che si sprigiona dal suo lento consumarsi.