16 novembre
Solidarietà
Lavorare nell'oasi con un caldo infernale non è facile!
Mi sentivo distrutto. Quando tornavo in Fraternità non ne potevo più.
Mi buttavo sulla stuoia nella cappella davanti al Sacramento con la schiena spezzata e la testa che mi faceva male.
Non sapevo più come cominciare a pregare. Arido, vuoto, sfinito.
L'unica cosa positiva che provavo e che cominciavo a capire era la solidarietà con i poveri, i veri poveri. Mi sentivo insieme a chi è alla catena di montaggio o schiacciato dal peso e del giogo quotidiano.
Pensavo alla preghiera di mia madre con cinque figli tra i piedi, e ai contadini obbligati a lavorare dodici ore al giorno durante l'estate.
Se per pregare è necessario un po' di riposo, quei poveri non avrebbero mai potuto pregare. La preghiera, quindi, quella preghiera che avevo con abbondanza praticato fino ad allora, era la preghiera dei ricchi, della gente comoda, ben pasciuta, che è padrona del suo tempo, che può disporre del suo orario.
Non capivo più niente, meglio, incominciavo a capire le cose vere.
Piangevo!
Le lacrime scendevano sulla gandura che copriva la mia fatica di povero.
E fu proprio in quello stato di autentica povertà che dovevo fare la scoperta più importante della mia vita di preghiera.
Volete conoscerla?
La preghiera passa dal cuore, non dalla testa.
Sentii come se una vena mi si aprisse nel cuore, e per la prima volta «esperimentai» una dimensione nuova dell'unione con Dio.
Che avventura straordinaria mi stava capitando!
Non dimenticherò mai quell'istante.
Ho intuito la stabilità di Dio.