28 giugno
Il primo, l'ultimo
È caratteristica la parabola della mia vita. Il mio primo maestro mi aveva detto: «Primo in tutto per l'onore di Cristo Re»; e l'ultimo, Charles de Foucauld, mi aveva suggerito: «Ultimo di tutti per amore di Gesù Crocifisso».
Eppure può darsi che tutti e due avessero ragione e che il colpevole fossi io a non capir bene la lezione. In ogni caso ora ero là, in ginocchio, sulla sabbia della grotta che aveva preso le dimensioni della Chiesa stessa; e sentivo sulle mie spalle la famosa colonnina del militante. Forse era questo il momento di vederci chiaro.
Mi trassi indietro di colpo, come per liberarmi da quel peso. Che cosa avvenne? Tutto rimase al suo posto, immobile. Non una scalfittura nella volta, non uno scricchiolio.
Dopo venticinque anni mi ero accorto che sulle mie spalle non gravava proprio niente e che la colonna era falsa, posticcia, irreale, creata dalla mia fantasia, dalla mia vanità. Avevo camminato, corso, parlato, organizzato, lavorato, credendo di sostenere qualcosa; e in realtà non avevo sostenuto proprio nulla. Il peso del mondo era tutto su Cristo Crocifisso. Io ero nulla, proprio nulla.
Ce n'era voluto a credere alle parole di Gesù che da duemila anni mi aveva già detto: «Voi, quando avete fatto tutto ciò che vi è stato comandato dite: Siamo servi inutili, perché abbiamo solo fatto il nostro dovere» (Lc 17, 10).