16 maggio
Perché hai creduto
Che ne dici tu, Maria, non ti pareva un sogno l'avere un figlio di quel genere?
Ti pareva cosa reale? Averlo generato nella carne era niente in confronto alla fatica di generarlo nella fede.
Vedere un bimbo, il tuo bimbo, era facile, ma credere, credere mentre gli facevi fare la pipì, in un angolo, che proprio lui, il tuo bimbo, era il Figlio di Dio, non era cosa facile.
La fede era certamente oscura, dolorosa anche per te, non solo per noi tuoi fratelli su questa terra di viventi.
Non è così anche per te?
Non c'è fatica più grande sulla terra della fatica di credere, sperare, amare: tu lo sai.
Aveva ragione la tua cugina Elisabetta a dirti: «Beata te che hai creduto!».
Sì, Maria, beata te che hai creduto.
Beata te che mi aiuti a credere, beata te che hai avuto la forza di accettare tutto il mistero della Natività e di avere avuto il coraggio di prestare il tuo corpo a un simile avvenimento che non ha limiti nella sua grandiosità e nella sua inverosimile piccolezza.
Maria, capisci cosa hai fatto?
Sei riuscita a star ferma sotto il peso di un mistero senza confini.
Sei riuscita a non tremare davanti alla luce dell'Eterno che cercava il tuo ventre come casa per riscaldarsi.
Sei riuscita a non morire di paura davanti al ghigno di Satana che ti diceva che era cosa impossibile che la trascendenza di Dio potesse incarnarsi nella sporcizia dell'umanità.
Che coraggio, Maria!
Solo la tua umiltà poteva aiutarti a sopportare simile urto di luce e di tenebra.