3 giugno

Il sacrificio

È stato detto: «Troverai popoli senza città, troverai città senza mura, troverai uomini senza arte ma non troverai popoli e città e uomini senza sacrificio». Il sacrificio come forma di preghiera, come espressione di religiosità è nato con l'uomo e morirà con l'uomo.

Se dovessi rappresentare, in un quadro, le forme religiose degli antichi, non dubiterei di disegnare un'assemblea di uomini attorno ad un altare nel momento in cui uno di loro – il sacerdo­te – offre un sacrificio.

Ma perché la vittima? Perché il sangue?

Sì è, come fu universale la testimonianza di una sudditanza a Dio Creatore con l'offerta di grano o di miele o di lana o di un cero, fu universale in tutti i popoli la ricerca del sangue come ele­mento di offerta. Perché?

L'uomo sentì che qualcosa s'era rotto, che l'equilibrio era spezzato, che l'ostia pacifica era sufficiente in certi momenti di pace, di paura, di sorriso, ma diveniva insufficiente in altri e non esprimeva più lo stato interiore dell'anima. I teologi parleranno di peccato originale, sant'Agostino parlerà di disordine; il fatto è che l'uomo ha avvertito di essere peccatore ed ha preso coscienza vieppiù che... bisognava pagare e che il peccato si pagava col sangue. E caratteristica questa sete di una vittima, nell'anima religiosa dei popoli: questo bisogno di mettere il sangue e colmare l'abisso scavato dal peccato tra l'uomo e Dio.

«Signore – pare voglia dire l'umanità – noi siamo delle canaglie, abbiamo violentato, ucciso, rubato, tradito. Non meritiamo il tuo perdono... Però guarda questa vittima innocente che muore sull'altare e... per il suo sangue, perdonaci».

Si direbbe che si voleva forzare la mano della giustizia: «O Dio, guarda!».

Naturalmente tutti i sacrifici non erano che simboli. Simboli di una realtà non ancora matura, prodromi di una storia che stava per compiersi. Verrà Gesù, il Cristo.

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