3
marzo 2013
Un
alfabeto diverso
Cosa
non siamo capaci di fare per tentare di rompere questo silenzio! I nostri occhi
si puntano sull'invisibile nella speranza di vedere finalmente qualcosa.
I
miei occhi si tendono fino allo spasimo per captare qualcosa che mi parli, che
mi testimoni la sua presenza, che sia l'inizio di un dialogo.
E
invece non vedo nulla.
Il
mio orecchio non sente nulla.
E’
allora che mi ritraggo deluso e che metto in dubbio la mia fede.
Non
sono giunto ancora a capire che è bene così e che questo non vedere con gli
occhi e non sentire con le orecchie è il segno che sono ancora padrone dei miei
nervi e lontano dal viscido terreno della superstizione o dell'illusione.
Ora
che sono esperto di questo terreno e, più ancora, di questo silenzio di Dio,
quando qualcuno viene a dirmi di aver ... visto una luce, ... sentito una voce,
... avvertito un fluido, non esito a dirgli con parole adatte: “Fratello,
sorella, fatti visitare da un neurologo perché può darsi che tu stia toccando
i limiti della patologia”.
No
fratello, no sorella, come il visibile non è l'invisibile, come la natura non
è la grazia, così il nostro alfabeto non è l'alfabeto di Dio, la nostra
lingua la sua lingua, le nostre orecchie le sue orecchie. Quando Dio parla non
vibrano le corde vocali e il luogo dove tu avverti le voci non è certo il tuo
orecchio.
Se
Lui vuol qualcosa - e me lo dice continuamente, perché Dio è Parola - me lo dice nel punto più recondito e misterioso
della mia realtà, quello che qualche volta chiamiamo cuore, qualche altra volta
coscienza.