11 ottobre 2015

L'albero dell'amore

Cosa intendeva Gesù proponendoci la beatitudine della povertà? Quale dramma di coscienza crea di continuo nei cristiani di oggi la risposta a una simile domanda!

Immersi fino al collo nella civiltà cosiddetta del benessere, essi sentono il bisogno di vederci chiaro, di capire per lo meno quale posizione prendere dinanzi a tanta responsabilità. Non c'è adunanza di laici impegnati che non registri qualche eco. Dobbiamo vendere tutto il superfluo? Posso comperarmi un vestito nuovo? Posso concedermi il lusso di un viaggio turistico? Dobbiamo mettere tutto insieme e vivere come i cristiani descritti dagli Atti degli apostoli?

La risposta non è così facile, e più ci si ingolfa nella casistica, più si sente la retorica delle parole; più si ascoltano i fanatici che vorrebbero tutto rovesciare, più si torna a casa scontenti e senza pace. Il fatto è che sbagliamo strada e vorremmo ottenere il frutto senza badare all'albero su cui deve nascere. La povertà, la divina povertà, la sposa bella di Francesco è un frutto dolce e maturo, non la risposta a un problema. Ed è un frutto dolce che nasce su un albero ricettacolo di tutte le dolcezze: l'albero dell'amore.

E l'albero dell'amore non è l'albero della giustizia sociale (sovente lo è anche, ma non sempre), o l'albero della filantropia, o peggio ancora l'albero della testimonianza orgogliosa di chi vuol dimostrare di essere migliore o più generoso degli altri. L'albero dell'amore è l'albero dell'amore, e solo chi ama lo può capire e vivere la povertà evangelica.

Senza l'amore la povertà è una mutilazione, non una beatitudine.

Ecco perché devo cominciare ad amare prima di pormi il problema di essere povero.

Sì, debbo cominciare da qui, devo amare i fratelli, amarli fino a sentirli miei simili, miei uguali. Se imparerò ad amarli di amore vero, autentico, gratuito, tale amore mi spingerà molto, molto lontano.

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