13 dicembre 2015

Immagine e somiglianza di Dio

La tentazione che può venire dal nostro passato culturale, direi dall'infanzia dell'umanità, è di pensare a Dio in un modo antropomorfico, di immaginarlo come un vecchio sulle nubi bianche, come un occhio in un triangolo equilatero. Mai ho capito come ora l'importanza della raccomandazione che fa il Deute­ronomio in proposito: «State bene in guardia per la vostra vita, perché non vi corrompiate e non vi facciate di Dio un'immagine scolpita come un idolo, la figura di maschio o femmina, la figura di qualunque animale, la figura di un uccello che vola nei cieli o di una bestia che striscia sul suolo... » (Dt 4, 15-18).

«Poiché non vedeste alcuna figura quando il Signore vi parlò sull'Oreb dal fuoco» (Dt 4, 15).

La trascendenza di Dio non mi giunge attraverso una figura, che sempre la deforma, ma è annunciata da un Segno che la indica come la bellezza, come la casa e il convito, come il cielo e la terra.

E il segno non s'impossessa della Presenza, non la strumentalizza mai, non ha il potere di limitarla.

E un segno, soltanto un segno, anche se straordinariamente trasparente.

Ma la presenza va oltre il segno, come la mia vita va oltre il mio corpo, e il mio desiderio va oltre le mie possibilità.

La presenza di Dio è nella sostanza del cosmo, nella sostanza dell'uomo, nella sostanza della storia. Non è davanti, è dentro anche se l'essere dentro non può condizionarla mai, perché essendo trascendente non si identifica mai con ciò che la contiene, come il corpo in cui abito non limita la mia persona che va, come mistero, sempre al di là di esso e lo supera all'infinito.

Sì, il mistero di Dio è il mistero della Persona, e, in fondo, noi che siamo creati «a sua immagine e somiglianza» (Gn 1, 27), ne calchiamo le orme.

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