31 marzo 2019

Il discorso dei segni

Non posso negare il visibile che mi sta di fronte. Non posso negare il creato.

Non posso non aver avvertito la meraviglia dei fiori, la potenza dei mari, la logica di un cervello elettronico, le sterminate profondità del cosmo.

Non posso dire: è un caso.

Il discorso dei segni mi interroga: non sono posti a caso, sono delle realtà.

Fin da piccolo mi sono abituato a questa teologia dei segni che giungono a me da ogni parte, con estetica, armonia, forza, chiarezza indiscussa.

Il mare è li e lo vedo, il cielo è li e lo ammiro, il caldo è li e lo sento, il cibo è li e lo gusto.

Non posso restare indifferente: i segni, la natura, il cosmo sono pagine aperte di un libro che, mi piaccia o no, devo saper leggere.

E mentre leggo penso, e il mio pensiero va sempre verso un centro sconosciuto, invisibile, ovunque presente, straordinariamente interessante: «l'altro» da me, risposta silenziosa alla mia domanda. E' l'Assoluto.

Dio poneva segni per parlarci, per spiegare le cose. Anche noi dovevamo fare altrettanto, sia per non perdere tempo, sia per controllarci nel nostro cammino e correggerci nelle nostre debolezze.

Sì, porre dei segni che fossero come la spiegazione concreta del nostro pensiero, la testimonianza  di ciò che volevamo essere, la catechesi del Vangelo vissuto.

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