27 dicembre 2020
Il grande atto d'amore
Se nasce in una stalla e la sua infinitezza e onnipotenza è ridotta ad un vagito di bimbo in balia della storia e della cattiveria degli uomini, è perché deve insegnarci la lezione più difficile della vita: preparare il nostro essere all'impotenza e alla debolezza delle cose.
Se viene nascosto nella pasta del mondo, ed accetta non gli onori del potere ma il sudore dell'operaio, è perché deve abituarsi e abituarci al sudore dell'agonia.
Se sceglie, come legge del suo agire, la dolcezza e non la violenza, è perché sa che la Sapienza Divina vuol farci trionfare non con la forza ma con l'amore, e che avrà la sua vittoria con la sconfitta della croce.
Se farà suo l'atteggiamento, maturato dai profeti, del «servo di JHWH», dell'Innocente — atteggiamento che anima il filone più profondo delle speranze e della spiritualità di Israele —, è perché è cosciente che il Regno, quello vero, di Dio, non sarà un regno politico di potenza, di stabilità, di benessere, ma l'atto d'amore più grande che poteva essere fatto quaggiù nei confronti di Dio, l'accettazione della povertà dell'uomo di cui la morte è caparra e passaggio.
Non è facile amare, né per noi né per il Cristo, ma nulla è così grande e così perfetto quanto l'amore di Gesù, nella sua povertà volontaria ed amata.
Direi che nulla mi è più caro di questa povertà di Dio. Mi è più dolce della sua onnipotenza.
Mi parla più della sua onniscienza.
Mi è più vicino della sua bellezza.
La povertà di Dio: ecco il più alto grado di amore.