22 agosto 2021
Risposta
Quando l'anima si apre all'amore di Dio, la prima parola che esce dalla sua bocca è una parola di lode, un grido di esultanza.
E come un bisogno compresso nel profondo, che ha trovato il suo sfogo, la sua liberazione:
«Pronto è il mio cuore, o Dio (...):
voglio cantare ed inneggiare.
Orsù mia gloria,
svegliati arpa e cetra,
voglio destare l'aurora» (Sal 108, 1-3).
La preghiera è innanzitutto una risposta. Sarà, più tardi, anche domanda, molte domande, ma alla radice di tutto sta una risposta.
E questo perché è Dio che fa la prima domanda.
Se non fosse Lui a uscire dal suo isolamento, nessuno potrebbe liberarci dal nostro; se non fosse Lui a chiamarci dagli abissi dell'Essere, nessuno si sognerebbe di rispondere.
Sì, per fare l'amore, occorre essere in due. Dio è l'elemento attivo, il primo.
Difatti Gesù dirà: «Se il Padre non vi attira, non potete venire a me» (Gv 6, 44).
Il Padre è colui che incomincia. Dal silenzio della sua Trascendenza, è Lui che avanza verso di noi e ci chiama per nome. E l'uomo risponde.
Così comincia il colloquio della preghiera.
Prendere coscienza di questa sua chiamata, sentire l'eco profonda della domanda, proposta in noi da Lui, nel vuoto della nostra povertà, significa disporsi alla preghiera, entrare nella possibilità di pregare.
La prima risposta è un «grazie».
Fa parte costitutiva dell'essere, noi, creature.
L'uomo, scoprendo d'essere creatura, dice al suo Creatore: «Venite, esultiamo in JHWH!
Acclamiamo alla rupe della nostra salvezza» (Sal. 95,1).