Abramo - il primo Patriarca
Continuano i nostri giovedì biblici;
abbiamo incominciato ad occuparci del "Patriarchi". Il primo fu Abramo: fondatore della stirpe ebraica e del popolo eletto al servizio del progetto d'amore di Dio.
Nacque ad Ur in Mesopotamia (territorio al confine tra Iraq e Iran) circa nel 2000 (1900 anni a.C.. In quel territorio si erano già sviluppate antiche civiltà.
Abramo era pastore, nomade e benestante. Forse sentiva il disagio della politica autoritaria della grande superpotenza del tempo (l'impero babilonese) che soffocava le diverse culture delle genti sottomesse.
Suo padre Terak si trasferì verso il nord con tutto il suo clan e Abramo con sua moglie Sara, bellissima, ma sterile, lo seguì. Si stabilirono a Carran (attuale URFA in Turchia). Fu proprio lì che Abramo "visse un'esperienza superiore a quella quotidiana e umana". Dio gli ordinò di lasciare la sua terra e la casa di suo padre (con tutte le sicurezze e gli agi di cui godeva) e gli promise solennemente in cambio una terra, una discendenza molto numerosa e la sua continua benedizione.
Abramo obbedì non cercando conferme o segui e Dio "glielo accreditò come giustizia".
Abramo è il nostro padre nella fede ed è riconosciuto così dagli ebrei e dai mussulmani. Egli non viene ricordato né per la sua vita avventurosa né per le sue ricchezze, né per le sue debolezze: la sua fama è dovuta al suo modo di rispondere alla chiamata di Dio.
Il progetto che Dio aveva su di lui si è manifestato nel tempo e la sua consapevolezza fu, come sempre, tarda a venire: scoprirà di aver lasciato Ur non tanto per seguire suo padre Terak ma, sopratutto, per aderire al progetto di Dio (Genesi cap. 15) "Io sono il Signore, io ti ho fatto uscire da Ur ... per darti questa terra...)
Per poter seguire il Signore bisogna essere liberi interiormente: il suo allontanarsi da Ur è coinciso con un graduale aumento della sua libertà e, così, Abramo ha potuto avviarsi sulla strada che Dio gli aveva predisposto.
Mi pare che la qualità principale di Abramo sia da individuare sopratutto nella fiducia in Dio: una fiducia concreta, semplice, vissuta nella realtà quotidiana.
E' quello che viene richiesto anche da noi.
Non c'è creatura umana, anche la più povera e disprezzata dai suoi simili, che non abbia un suo significato sostenuto e difeso da Dio per tutta la sua vita. Trovare il tempo e il modo di ascoltare Dio è, perciò, essenziale. Scopriamo così la nostra vera dignità che nessuno al mondo ci può togliere.
Dio non è solo nostro scudo e nostra provvidenza, ma ci invita sempre ad andare oltre le nostre e le altrui meschinità per renderci capaci di costruire relazioni con ogni uomo, in ogni situazione. La nostra vita, la nostra gioia dipendono dallo Spirito Santo.
Il secondo punto della promessa di Dio era la discendenza.
Il Signore prima chiede ad Abramo la circoncisione di ogni maschio come segno fisico dell'appartenenza al suo popolo; poi gli fa la prima promessa chiara della nascita di Isacco (figlio di donna sterile). In questo modo Dio vuole confortare Abramo e supera la natura per mostrargli la sua coerenza.
Nel capitolo 18 (Genesi) c'è la misteriosa apparizione di Dio sotto l'aspetto di tre uomini. Abramo li scambia per semplici viaggiatori e, secondo la proverbiale ospitalità orientale, li accoglie. Solo con la nascita di Isacco comprenderà il vero senso di quell'episodio.
Nel nostro gruppo è emersa la difficoltà ad essere ospitali, sopratutto verso gli stranieri ed è emersa però l'idea che l'ospitalità rimane un gesto di grandezza di cuore e di mentalità, nonché motivo di arricchimento. L'incomunicabilità culturale porta disagi insopportabili. Non è realistico, però, rifiutare le differenze; bisogna avere cura e rispetto delle diverse identità (anche delle nostre).
E' un problema che non si risolve spontaneamente ma con l'impegno e con l'aiuto del Signore. Dobbiamo rivolgerci a Lui perché solo lo Spirito Santo avvicina e unisce e ci rende reciprocamente "prossimo" (Abramo prega con insistenza per salvare Sodoma).
Isacco nasce e non solo porta gioia e la pienezza che portano tutti i bambini, ma anche la gioia della realizzazione di una promessa e la conferma che Dio realizzerà anche tutto il resto. Isacco vuol dire "sorriso", il sorriso compiaciuto di Dio ma anche di Sara e di Abramo.
Ma qui succede la cosa più tragica che si possa pensare: Dio chiede ad Abramo questo figlio in sacrificio! Cosa sia successo dentro Abramo, possiamo solo tentare di immaginarlo: un passato che sembra crollargli addosso, le promesse che l'avevano guidato, l'amore verso Isacco, verso Sara, verso il suo popolo, le sue speranze...Pare che Dio entri in contraddizione con sé stesso.
Più del sacrificio di Isacco, i commentatori parlano del sacrificio di Abramo. Ho letto che Dio non voleva il figlio di Abramo ma il suo cuore.
Il timore di Dio è credere nel suo amore per noi sopra ogni nostro amore, sopra ogni nostro progetto o necessità. "La fede che aveva reso giusto Abramo nella notte in cui, guardando le stelle, aveva confidato nel Dio della promessa, viene qui oltrepassata da una fiducia che supera lo scandalo,la notte oscura, la contraddizione di Dio con se stesso".
Dio nasconde il suo volto per rendere l'uomo capace di rispondere, per farlo crescere, per renderlo responsabile.
Dio non ha mai chiesto e mai chiederà il sacrificio di un uomo. Anzi è successo una volta sola: quando ha accettato di sacrificare suo figlio Gesù, l'unico ...il prediletto... per noi.
Gesù fu crocifisso sulla collina dove l'angelo fermò il braccio di Abramo che stava per colpire Isacco. La Bibbia è piena di simbologie e Isacco è il simbolo di Gesù.
A Colonia, alla fine dell'ultima guerra, sul muro di una cantina che aveva ospitato alcuni ebrei durante la loro persecuzione, è stata trovata questa scritta:
"Credo nel sole anche quando non splende, credo nell'amore anche quando non lo sento, credo in Dio anche quando tace".