Noè, nostro compagno di viaggio.
Durante uno dei più recenti giovedì della Bibbia abbiamo letto il 1° capitolo delle Genesi. Sembrava di sentire il telegiornale: il mondo era corrotto e la violenza era dappertutto. A questa situazione Dio contrappone un uomo la cui caratteristica era di non parlare; viveva però in rapporto straordinario con Dio: lo sapeva ascoltare.
In
noi c'è il bisogno fondamentale, magari sentito confusamente di avere un
rapporto con Dio, di sentirci suoi figli, di avere un ruolo ben preciso nella
sua opera.
A
me sembra che tutta la violenza esistente, oggi come in ogni tempo sia dovuta
alla mancanza di questa certezza e al conseguente vuoto di senso. Il proprio
ruolo viene costruito anche con la violenza al di fuori della logica divina.
Nell'antichità
il padre era solo padrone. Il proprio legame con i famigliari era esclusivamente
di consanguineità e di possesso. Il concetto di paternità così come è andato
evolvendosi (amore gratuito a prescindere dalle qualità e dal comportamento dei
figli) si è trasformato man mano con molta difficoltà. Questa evoluzione non
si è verificata dappertutto come sarebbe accaduto se fosse un fenomeno
spontaneo, automatico: è una trasformazione avvenuta dove i costumi e le leggi
si sono in qualche modo informati ai dettami divini. Il diluvio fu una
conseguenza del disordine. Al diluvio Dio fece seguire subito una nuova
"creazione" (attraverso Noè) basata sull'alleanza Dio-umanità.
Alleanza che prevedeva quale fatto fondamentale la responsabilità dell'uomo nei
confronti di ogni uomo, della vita umana e del creato.
Nel
quadro di questa responsabilità oggi qual è il nostro atteggiamento di fronte
a Dio e al fratello e nei confronti della creazione?
La
paternità tende a edificare l'uomo, a farlo crescere, a renderlo sempre più
responsabile fino a trasformarlo in un altro padre. Ci rendiamo conto
dell'attualità del problema. Ogni paternità matura, anche oggi, viene da Dio
ed è una evoluzione dell'anima. Gesù, che ha potuto dire, "chi vede me
vede il Padre", ci infonde lo Spirito Santo (soprattutto se lo chiediamo)
per farci capire e vivere quello che solo naturalmente è, in pratica
impossibile.
L'Arca
è stato il luogo dove Dio ha portato Noè umanità a salvarlo. Gesù ci
costruisce la Chiesa e lo Spirito Santo la anima. Quando scopriamo il dinamismo
dello Spirito di Dio rimaniamo affascinati, troviamo il nostro posto. Diventiamo
docili, fiduciosi e perfino silenziosi come Noè (tanto che alcuni finiscono
nelle certose proprio per ascoltare di più).
Noè
è stato un grande mistico, un grande carpentiere, un grande lavoratore, un
grande amante del creato. Noè ha costruito l'arca perché ha sentito
straordinariamente questa responsabilità. Sicuramente Noè non godeva del
sostegno e della solidarietà dei vicini, anzi veniva deriso come un visionario.
Lui e i suoi famigliari non erano né maggioranza, né minoranza: erano un
"resto". Era un resto anche quel pugno di reduci che da Babilonia è
tornato a Gerusalemme per edificare il nuovo tempio al Dio vero. Il regno di Dio
si concretizza nel genere umano sempre mediante un "resto", una
porzione piccolissima dell'umanità formata, tante volte non necessariamente da
persone dotate nel senso umano del termine.
Noè fu il primo uomo a impiantare una vigna, ma, in un momento di solitudine si ubriacò e perse il controllo di sé. Provò l'umiliazione di essere disprezzato da uno dei suoi figli, non perse però il senso della paternità e fu uomo di cui Dio si servì per ricreare il mondo.