Fuoco e luce nella liturgia cristiana |
Non
c'è religiosità sotto il cielo che non ponga il fuoco al centro del proprio
culto come segno per esprimere la divinità e il suo operare. E non potrebbe
essere diversamente. Il fuoco illumina, purifica, riscalda, consuma, distrugge e
trasforma. È insieme ad aria, acqua e terra uno dei quattro elementi
fondamentali del creato, secondo le antiche concezioni, e come tale ricco di
messaggi per ogni cultura e in ogni tempo poiché porta in qualche modo, se così
possiamo dire, la firma del Creatore. Non è senza ragione che il fuoco, anche
quando la sua azione è distruttiva, costituisce sempre uno spettacolo
terrificante e affascinante insieme. Nulla come il fuoco esprime il fascino e
insieme il timore dell'uomo di fronte al mistero della vita, al mistero di Dio e
dell'aldilà. È poi sintomatico che il fuoco, sotto forma di falò, raccolga
facilmente in cerchio le persone, le renda più meditative, le faccia sentire più
in comunione, nella gioia come nel dolore. Del resto non è certo casuale che il
fuoco domestico sia diventato simbolo della famiglia raccolta nella più intima
e profonda solidarietà. Nelle antiche civiltà infatti il focolare domestico
era considerato come un luogo sacro o comunque dalle forti valenze religiose.
II
fuoco pertanto non poteva non diventare uno strumento fondamentale anche nella
rivelazione di Dio e nel culto cristiano. Per la verità il fuoco in quanto tale
non trova molto spazio nella liturgia cristiana e probabilmente per ragioni
pratiche anche molto ovvie. Questa però è un'impressione assai superficiale.
Infatti i lumi che vengono impiegati durante le celebrazioni non hanno
semplicemente una funzione pratica, quella di rischiarare, ma hanno soprattutto
una funzione simbolica che si radica nel segno del fuoco. L'avvento dell'energia
elettrica ha certamente oscurato questa dimensione simbolica originaria. Così
pure è stato negativo l'uso semplicemente devozionale delle candele,
soprattutto quando esse sono finte, alimentate elettricamente e con accensione a
gettoniera o ad interruttore. Ogni simbolo corre sempre e comunque il rischio di
essere usato con modalità magiche e paganeggianti. Se poi il simbolo perde
anche la sua carica di verità, il pericolo diventa quasi inevitabile. Ancora
una volta quindi è d'obbligo il riferimento alla Scrittura, senza la quale non
si possono comprendere veramente i simboli cristiani (cf SC 24).
Senza
la Bibbia questi segni rischiano di restare semplicemente sul piano di un
affascinante simbolismo umano per esprimere comunione di sentimenti, domanda,
speranza, solidarietà... Senza il riferimento alla storia della salvezza che
cosa potrebbe distinguere uno stadio pieno di giovani ondeggianti con
l'accendino acceso dalla veglia pasquale?
Nella
liturgia cristiana i simboli non esprimono tanto una ricerca dell'uomo,ne un
semplice ossequio a Dio e superano di gran lunga, pur contenendola, ogni valenza
di umana solidarietà. I simboli nella liturgia cristiana esprimono in primo
luogo l'azione gratuita di Dio che precede ogni domanda dell'uomo. Questo
aspetto è fondamentale per comprendere i segni liturgici, dal fuoco acceso
nella veglia pasquale alla piccola candela che il fede le accende davanti
all'immagine della Madre del Salvatore o di un santo. E così è per tutti gli
altri simboli.
Il
fuoco e l'Alleanza divina
In
tutta quanta la Scrittura notiamo che Dio ama manifestarsi particolarmente
attraverso il fuoco per sigillare la sua alleanza con Abramo (Gn 15,17), per
entrare in dialogo con Mosè (Es 3,2); per guidare il popolo nel deserto (Es
13,21); per sigillare l'alleanza con il suo popolo al Sinai (Es 19,18; 24,17).
Non c'è quindi da meravigliarsi se la funzionale accensione dei lumi al
tramonto del sabato divenne per il popolo d'Israele un rito profondamente
religioso, il lucernario, dal quale prenderà origine il rito della benedizione
del cero nella veglia pasquale cristiana. Il fuoco infatti evoca all'uomo
biblico, quindi all'ebreo come al cristiano, l'azione salvifica di Dio.
Un'azione che trova il suo vertice nel Nuovo Testamento dove sintomaticamente il
battesimo cristiano viene assimilato al fuoco (Mt 3,11 ) e dove lo stesso Gesù
paragona, la sua missione all'azione del fuoco: «Sono venuto a portare il fuoco
sulla terra e come vorrei che fosse già acceso» (Lc 12,49). L'inizio stesso
della Chiesa ha luogo attraverso l'azione di quelle lingue di fuoco, segno
dell'effusione dello Spirito Santo...
Bastano
pochi riferimenti biblici per trovarci come immersi in un oceano simbolico
grandioso che pervade tutta la storia della salvezza e di fronte alla quale si
resta come ammutoliti, tanto sono ricchi i messaggi che questo simbolo fa
intuire. D'altra parte il vero simbolo è proprio un segno che non necessita di
parole, ma che parla con il silenzio.
II
simbolo del fuoco trova la massima celebrazione nella veglia pasquale e non
tanto per l'accensione e la benedizione del nuovo fuoco, rito che non pare
originario, quanto piuttosto per l'accensione del cero, simbolo di Cristo, vera
parola di fuoco fatta carne (Ger 23,29). È significativo che nel rito della
dedicazione di una chiesa venga acceso un fuoco sull'altare dove, attraverso
l'invocazione dello Spirito Santo, il Verbo si fa ancora carne sotto i segni del
pane e del vino. Nella notte pasquale quindi l'accensione del cero non è
affatto funzionale, ma simbolica, e da questa dipende l'uso cultuale di tutti
gli altri fuochi o ceri, a cominciare da quelli dei fedeli nella stessa notte.
Infatti in un primo tempo i cristiani furono alquanto diffidenti nell'uso
cultuale di lampade e di ceri in quanto tali lumi venivano usati come strumenti
di devozione verso gli dèi e gli imperatori. Lattanzio (+334) sottolinea la
diversità dei cristiani dai pagani in quanto questi ultimi accendono lumi in
onore dei loro dèi come se essi fossero nelle tenebre; se questi dèi hanno
bisogno di lumi terrestri è perché non sono divini (Ist. Divine VI,2). Per lo
stesso motivo il Concilio di Elvira (303) proibisce ai cristiani di accendere
lumi nei cimiteri in quanto i pagani facevano questo per scacciare i demoni.
Soltanto affievolitesi il pericolo di ambiguità, i cristiani incominciarono a
fare largo uso di lampade e ceri, non certo come omaggio alla divinità, ma come
espressione di fede in Cristo, vera luce che illumina ogni uomo. Per questo
Eusebio riporta che nella notte di Pasqua la chiesa era illuminata come di
giorno (Vita di Costantino IV,22). A Vigilanzio che rimproverava ai cristiani di
sprecare ceri durante il giorno, S. Girolamo risponde che essi vengono accesi
durante la lettura del Vangelo non per rischiarare, ma in segno di grande gioia
(Contro Vigilanzio, PL 23, 345). E sintomatico che uno dei primi usi cultuali di
ceri, oltre a quelli dell'altare, sia riservato, come oggi ancora nella Messa
solenne, alla proclamazione del Vangelo, cioè quando Cristo stesso annuncia al
suo popolo il messaggio di Dio affinché il mondo sia illuminato dalla verità e
incendiato dalla carità.
Soltanto
il sopravvento di quella tentazione pagana che è sempre latente in noi ha
talvolta oscurato il vero significato della fiamma nel culto cristiano. Come
abbiamo visto, non si tratta tanto di un'offerta quanto piuttosto di un atto di
fede nell'accogliere il dono di Dio; come del resto ci è stato detto
chiaramente nel giorno del nostro battesimo mentre ci veniva consegnato il cero.
È alla luce di questi grandi gesti della liturgia che dobbiamo vedere e
praticare ogni altro gesto cultuale con il fuoco, sia la candela che accendiamo
davanti all'immagine di Maria e dei santi, sia il lumino che deponiamo sulla
tomba dei nostri defunti, sia la fiaccola che portiamo in processione...
E
senza dubbio nella solennità della Pentecoste, quando il cero pasquale arde per
l'ultimo giorno accanto all'altare o all'ambone prima di essere posto vicino al
fonte battesimale, che i testi liturgici ci offrono una chiara interpretazione
del simbolo del fuoco. «Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio
della tua luce... Sii luce all'intelletto, fiamma ardente nel cuore; sana le
nostre ferite col balsamo del tuo amore».
E
l'orazione dopo la comunione nella messa vigiliare di Pentecoste ci fa pregare
così: «Ci santifichi, o Padre, la partecipazione a questo sacrificio e accenda
in noi il fuoco dello Spirito Santo che hai effuso sugli Apostoli nel giorno
della Pentecoste».
Ogni fiamma che arde è sempre nel culto cristiano segno di quello Spirito che è Signore e da la vita; segno di quella fede, dono di Dio, che illumina, riscalda e purifica la vita... Certamente un cero acceso è anche segno della nostra disponibilità al dialogo con Dio, del nostro amore verso di Lui, ma resta sempre prima il segno del suo amore verso di noi.