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I colori delle vesti

   

 

Se le vesti liturgiche, come abbiamo visto, hanno sì un valore simbolico, ma assai secondario, a maggior ragione hanno un valore assai relativo i colori che sono invalsi nell'uso liturgico sia per le vesti come per altri eventuali addobbi. Tuttavia essi sono presenti nel culto cristiano e suscitano nei fedeli degli interrogativi ai quali è doveroso dare una risposta seria e precisa. Una risposta tanto più doverosa quanto più, dopo la riforma del Vaticano II, niente in liturgia deve risultare superfluo, semplicemente decorativo; ne va della serietà del culto cristiano e di conseguenza dello stesso messaggio evangelico: tutt'altro che una semplice questione di forme esteriori!  

  Il colore: un linguaggio universale  

Come sempre un po' di storia è illuminante per poter leggere correttamente il presente. D'altra parte il cristianesimo non è una fuga nell'universo dei miti, ma è caratterizzato da una dimensione storica, da un profondo radicamento nel­la vita dell'uomo; e questo ne corrobora l'origine divina poiché il Dio d'Israele incontra e salva l'uomo nella storia. Il mondo che lui ha creato e la storia che in esso si svolge è il luogo privilegiato dell'incontro con Dio. E in questo mondo così complesso e diversificato ci sono anche i colori che, secondo le culture, diventano un linguaggio umano per esprimere e comunicare sentimenti interiori e valori comuni: non c'è infatti cultura sotto il cielo che non abbia fatto dei colori una sorta di linguaggio fin dai suoi primordi. Ovviamente anche il linguaggio biblico, e quello profetico in particolare, si esprime sovente con il vocabolario dei colori.

Soltanto qualche esempio: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve» (Is 1,18). «Chi è costui che viene da Edom?... perché rossa è la tua veste?» (Is 63,1-2). «Il sole divenne nero come un sacco di crine» (Ap 6,12). E sì potrebbe continuare...

Tuttavia dobbiamo constatare che se il linguaggio biblico come quello della patristica fa uso dei colori per esprimere il rapporto con Dio, nella liturgia i colori in quanto simboli vi entrano assai tardi. Anche soltanto questo fatto è già di per se stesso sintomatico e ricco di insegnamento: i colori, ancor più delle vesti, sono elementi molto secondari. Secondari, certo, come tante altre cose nella vita, ma non per questo in­significanti e inutili; come un mazzo di fiori nei rapporti umani, può risultare "inutile", ma è tutt'altro che insignificante...    

Dalla veste bianca al colori liturgici  

Per oltre sette secoli i colori degli abiti non hanno avuto alcuna particolare importanza nel culto cristiano. Certamente predominava il bianco, perché era, nella cultura mediterranea, il colore della festa e delle grandi occasioni. Da questo uso diffuso è stato molto breve il passo verso un'interpretazione simbolica di questo colore, a cominciare dalla bianca veste battesimale come attesta S. Ambrogio nella sua catechesi mistagogica ai neobattezzati: «Hai quindi ricevuto delle bianche vesti per dimostrare che tu hai abbandonato l'involucro del peccato e ti sei rivestito dei più puri abiti dell'innocenza come ha detto il profeta: purificami con issopo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve» (De mysteriis, VII, 34).

Per quanto riguarda le vesti dei ministri del culto le testimonianze sono invece le più diversificate almeno fino alla metà del secolo VIII. Mentre si impongono sempre di più gli abiti speciali per il culto, per quanto riguarda i colori non c'è alcuna norma e vige pertanto la più ampia libertà. Cresce invece una certa preoccupazione per quanto riguarda la preziosità delle vesti liturgiche soprattutto in Oriente, sotto l'influsso della ricca corte di Bisanzio. Pertanto la prima documentazione certa di colori legati a precise celebrazioni liturgiche si trova nell'Ordo Romanus XXI (seconda metà dell' VIII sec.) dove per le rogazioni del 25 aprile si prevedono vesti scure e per il rito del 2 febbraio (allora Purificazione di Maria) era previsto il nero.

Nel cuore del Medioevo la sensibilità al linguaggio dei colori si accentua. Ciò che non viene più compreso dal popolo attraverso la lingua latina e il significato dei riti, viene in qualche modo cercato attraverso gli occhi. Non è certo un caso che proprio in questo stesso periodo nascono le sacre rappresentazioni in parallelo con la liturgia. Ora per i colori le tradizioni sono all'inizio assai diverse da una Chiesa all'altra. Soltanto con Innocenzo III (+ 1216) si hanno delle direttive comuni che si impongono lentamente ovunque e vengono solennemente codificate con il messale di San Pio V (1570).

Si fissano così le vesti bianche, verdi, rosse, viola e nere secondo il diverso contenuto delle celebrazioni. Tuttavia paramenti preziosi hanno sempre avuto il sopravvento sul colore, almeno per sostituire il bianco, il verde e il rosso. Due volte all'anno, nella terza domenica di Avvento e nella quarta di Quaresima, quando si interrompeva il rigido digiuno, era possibile usare paramenti di colore rosaceo.  

Importante è il messaggio

  La mentalità prettamente giuridica degli ultimi secoli aveva portato, anche in ambito liturgico, a far uso dei colori in modo molto materiale quasi per semplice osservanza rubricale. La riforma liturgica del Vaticano II non ha voluto sopprimere la normativa riguardante i colori. Ha praticamente eliminato il nero (anche se resta opzionale nelle Messe dei defunti) in quanto nella nostra cultura occidentale meno è in grado di esprimere quella speranza cristiana che pure è presente di fronte al mistero della morte. Ha mantenuto tutti gli altri colori nei modi e nei tempi tradizionali, ma considerandoli nel più vasto contesto di quei segni che devono essere «chiari, adatti alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno di molte spiegazioni» (SC 34). Proprio per questo le Conferenze episcopali nazionali possono determinare l'uso dei colori liturgici molto liberamente secondo la cultura dei singoli popoli (cf PNMR 308).

Le norme attuali prevedono quindi nel rito romano e nella nostra area occidentale il rosso nella domenica delle palme, il venerdì santo, la domenica di Pentecoste e per tutte le feste degli apostoli, evangelisti e martiri. Il rosso infatti richiama il fuoco dello spirito, il fuoco dell'amore che è capace di arrivare fino all'effusione del sangue.

Il verde è previsto per il cosiddetto "tempo ordinario" sia feriale che domenicale. Infatti nella nostra cultura il verde è un colore riposante che esprime normalità, cammino tenace e permanente della speranza.

Il viola è il colore dell'Avvento e della Quaresima come pure delle celebrazioni per i defunti. E un colore che nella nostra cultura è grave e solenne insieme, può quindi esprimere contemporaneamente la fatica e la speranza. Il bianco è previsto per tutte le altre feste o memorie di santi.

Ciò che conta comunque non è certo l'osservanza materiale di questi colori. Le norme stesse prevedono una deroga in favore di colori che nei casi particolari esprimono maggiormente la festa (cf PNMR 309). Ciò che conta veramente è invece comunicare il messaggio che, secondo le diverse

celebrazioni, può essere di festa, di speranza, di solidarietà nel dolore, di rinuncia, di conversione... E per questo scopo il colore è certamente utile, ma non sufficiente. Non basta il bianco per fare festa, né il rosso per comunicare il fuoco dello Spirito e la stessa passione dei martiri per il Vangelo...

Questi colori diventano importanti e significativi soltanto se accompagnati dalla testimonianza di una comunità che si sforza di vivere il Vangelo. E anche a livello semplicemente celebrativo i colori diventano segni comunicativi soltanto se uniti ad altri elementi celebrativi capaci di esprimere la festa e la passione di una comunità che partecipa attivamente, consapevolmente e in sincera comunione di spirito.

Diversamente anche i colori liturgici diventano una stranezza, folklore o semplice vanità.  

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