Il segno del pane |
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Il pane e il vino sono al centro del culto cristiano; sono infatti gli stessi elementi che Gesù prese nelle sue mani durante l'ultima cena per esprimere simbolicamente la propria identità, significare globalmente la sua missione e ai quali ha legato una sua specialissima presenza. Ma viene subito da chiederci: "Quale pane?". Quanta fatica infatti spiegare ai fanciulli che si preparano alla messa di prima comunione che quell'ostia bianca e sottile è pane! E il vino? Nella catechesi questo segno viene quasi sempre ignorato. Forse è perché nel tabernacolo si ripone ovviamente soltanto il pane; soltanto raramente ha luogo la comunione con il vino anche per i fedeli... Resta il fatto che quando nella catechesi si parla della presenza reale si finisce per concentrare l'attenzione quasi esclusivamente sul segno del pane. Eppure non bisogna dimenticare che questi segni costituiscono insieme un unico sacramento e che pertanto richiedono anche di essere resi più veri e più chiaramente significati agli occhi dei fedeli. Così sollecitano a fare le stesse norme del Messale Romano: "La natura dei segni esige che la materia della celebrazione Eucaristica si presenti veramente come cibo. Conviene quindi che il pane eucaristico, sebbene azzimo e confezionato nella forma tradizionale, sia fatto in modo che il sacerdote nella messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l'ostia in più parti da distribuire almeno ad alcuni fedeli" (PNMR). Perché mai tutta questa preoccupazione riguardo al segno?
Segno di ogni dono che viene da Dio
Si tratta pur sempre di quelle esigenze che provengono dalla natura stessa della liturgia, la quale comunica le realtà soprannaturali significandole in modo umano. Se viene a mancare quest'ultima dimensione, non c'è dubbio che la grazia di Dio riesca sempre a superare i limiti umani, ma la liturgia viene a perdere uno dei suoi scopi fondamentali: appunto quello di significare chiaramente l'azione di Dio (cf SC 33-34). Mi si scusi un esempio che aiuta a chiarire il concetto: si può ricevere alimento anche attraverso iniezioni, compresse e fleboclisi, ma non è certo la stessa cosa di una bella tavola imbandita, circondata da amici, felici di stare insieme! Per l'uomo il mangiare non è soltanto una questione di sopravvivenza; è un segno di comunione e di festa. La celebrazione liturgica non è semplicemente un gesto fiscale, funzionale, efficiente, ma gratuito e significativo!
Perché dunque il pane è diventato il segno-vertice del culto cristiano? Ancora una volta è necessario sottolineare che non è possibile comprendere la ricchezza dei segni sacramentali se non ci si inserisce nella conoscenza di quella storia della salvezza che affonda le sue radici nell'esperienza storica dell'antico Israele (cf SC 24). Nel linguaggio biblico il pane è il simbolo di ogni dono che viene da Dio: "il Signore tuo Dio ormai sta per farti entrare in una terra fertile... dove mangerai pane a volontà e dove non ti mancherà nulla" (Dt 8,9). E' del resto in questo senso che il Signore Gesù ci invita a pregare per chiedere quel "pane quotidiano" che non si riduce al cibo materiale, ma a tutto quanto è necessario per vivere; così infatti interpretano molti Padri l'originale greco. Così la mancanza del pane dal lato opposto esprime l'assenza di Dio e di ogni altro bene: "Ecco, io tolgo a te Gerusalemme la riserva di pane; mangeranno il pane a razione e con angoscia e berranno l'acqua a misura in preda all'affanno" (Ez 4,16). Il pane è anche il simbolo del banchetto escatologico, cioè dell'eterna festa alla fine dei tempi: "...il pane prodotto dalla terra sarà abbondante e sostanzioso..." (Is 30,23). E' con questa ricchezza simbolica che gli Ebrei celebravano la Pasqua con il pane azzimo, cioè con il pane nuovo, non fermentato dal vecchio lievito, nell'attesa che Dio portasse a compimento le promesse. Ed è proprio in questo contesto pasquale che Cristo, il compimento della promessa, "prese il pane, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli e disse: Prendete e mangiatene tutti; questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi".
Il pane simbolo della presenza stessa di Dio
Non è possibile pertanto percepire il ricco messaggio di questo segno eucaristico limitandoci al significato antropologico del pane e del mangiare insieme. Certamente, come per tutti gli altri simboli liturgici, anche il pane mantiene quei significati religiosi che tutte le culture danno al cibo e al banchetto: nutrimento, condivisione, comunione, festa... Ma nella Bibbia il pane assurge a livello di simboli di Dio stesso, della sua sapienza e della sua presenza: "Venite a mangiare il mio pane, bevete il vino che io ho preparato..." (Prov 9,5). E' in questo progressivo sviluppo della rivelazione divina che Gesù, la sapienza di Dio fatta carne, può dire: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (Gv 6,35) E' con questa lunga presentazione alle spalle che i discepoli riuniti attorno alla mensa dell'ultima cena non hanno dubbi sul significato delle parole di Gesù: "prendete e mangiate; questo è il mio corpo" (Mt 26,26).
Mangiare il pane significa accogliere la parola
Fin dagli inizi la Chiesa è stata fedele al comando del Signore. Della Chiesa di Gerusalemme è detto: Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... Ogni giorno tutti insieme frequentavano il Tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore. Soprattutto il primo giorno della settimana cioè la Domenica, il giorno della risurrezione di Gesù, i cristiani si riunivano per spezzare il pane. Da quei tempi la celebrazione dell'Eucaristia si è perpetuata fino ai nostri giorni, così che oggi la ritroviamo ovunque nella Chiesa con la stessa struttura fondamentale (CCC 1342-1343). Ciò che dice il Catechismo è certamente esatto, ma presuppone e sollecita una celebrazione corretta dell'Eucaristia, dove i segni possano emergere con tutta la loro ricchezza di significato. In primo luogo non bisogna mai dimenticare che l'autentico significato del pane eucaristico è percepibile soltanto in relazione della celebrazione concreta. In altre parole, noi siamo piuttosto abituati a considerare il pane eucaristico in relazione al tabernacolo, cioè come presenza da adorare, mistero da contemplare. Il che è senza dubbio non solo lecito, ma doveroso. Tuttavia solo nella celebrazione in atto è possibile percepire chiaramente la finalità di questo sacramento e in particolare l'intima unione fra la mensa del pane e quella della Parola; per cui fare la comunione significa fondamentalmente accogliere e fare proprio il vangelo di Gesù. Non è senza una profonda ragione che le antifone di comunione nella messa siano costituite da una frase biblica, desunta per lo più dal vangelo del giorno. Del resto Gesù stesso sottolinea questa intima unione delle due mense: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 4,34). E citano il Deuteronomio non ha forse anche detto: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni pane che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4).
Dare verità al segno per comunicare il messaggio
Il pane non è fatto per essere guardato, ma per essere mangiato. Soltanto nella celebrazione in atto emerge chiaramente come la comunione è traguardo normale di ogni messa (cf PNMR 56). Del resto il gesto della frazione del pane, gesto che ha dato origine ad uno di primi nomi per indicare la messa, è proprio in funzione della comunione ed è pertanto un gesto altamente significativo per comprender il messaggio del pane eucaristico che sollecita alla condivisione, alla comunione fraterna, all'unità nella Chiesa. Da quando è invalso e si è poi generalizzato per la Chiesa latina l'uso del pane azzimo (XI sec.) e da quando le piccole ostie per i fedeli (=particole) hanno cominciato ad essere preconfezionate, non solo ha perso valore simbolico la frazione del pane, ma lo stesso segno del pane si è in qualche modo "atrofizzato", così da rendere più difficile la percezione di tutta quella ricchezza che il simbolo vorrebbe esprimere. Per questo è sempre più forte l'esigenza di dare più verità ai simboli liturgici (cf PNMR 279) a cominciare proprio dal pane (ivi 283). Resta comunque importante una corretta catechesi. Solo una più approfondita conoscenza può favorire un ulteriore progresso della riforma liturgica.