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La liturgia Eucaristica |
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La Liturgia Eucaristica si introduce con le parole che tutti possono leggere in PNMR al numero 48:
Infatti:
1.
Nella Preparazione dei Doni, vengono portati all’altare pane e vino con acqua,
cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le Sue mani.
2.
Nella Preghiera Eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l’opera della
salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
3. Mediante la frazione di un unico pane si manifesta l’unità dei fedeli, e per mezzo della Comunione i fedeli si cibano del Corpo e del Sangue del Signore, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso”.
SOMMARIO
LA
PREPARAZIONE DEI DONI
La
preparazione dell’Altare.
La
processione dei doni.
Le
preghiere di azione di grazie per il pane e il vino.
La
mescolanza dell’acqua.
Gli
altri riti di preparazione.
L’orazione
sulle offerte.
LA
PREGHIERA EUCARISTICA
Il
significato della Preghiera Eucaristica.
Le
diverse forme di Preghiera Eucaristica.
La
struttura della Preghiera Eucaristica
LA
PREPARAZIONE DEI DONI
L’Altare
non è semplicemente una mensa attorno alla quale radunarsi a mangiare e sulla
quale appoggiare l’occorrente per la celebrazione.
L’Altare,
e ce lo ricorda molto bene San Tommaso D’Aquino (Somma Teologica, III, quest.
83), è simbolo di Cristo, unica offerta gradita al Padre.
Questa
verità è bene che sia espressa anche nell’uso che ordinariamente se ne fa
dell’Altare stesso.
Fin
dall’inizio della Celebrazione, sull’Altare, ricoperto di tovaglia bianca,
decorosamente pulita, viene posto il Libro dei Vangeli (l’Evangeliario),
magari le lampade accese, o le candele, e i fiori: e null’altro.
Ora
esso diventa il centro della Liturgia Eucaristica: quindi gli Accoliti, cioè i
ministri dell’Altare, preparano opportunamente la Mensa del Signore.
Dalla
credenza, posta a lato del presbiterio, e sulla quale prima dell’inizio della
celebrazione si era preparato tutto l’occorrente, portano e dispongono
sull’Altare il corporale e il purificatoio, il calice e il messale.
Il
presidente della Celebrazione, seduto alla sede, attende che sia conclusa la
preparazione dell’Altare; quindi accoglie i doni: il pane, il vino e il frutto
della sollecitudine di carità dei fedeli, che vengono portati in processione.
Si
possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per
la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in Chiesa. Essi vengono deposti in
luogo adatto, fuori dalla Mensa Eucaristica”. (PNMR 49)
Più
che una processione questo momento celebrativo si caratterizza, soprattutto
nelle Chiese giovani e nelle Comunità dell’Oriente cristiano, come una danza
gioiosa e ritmata, con la quale si presenta ciò che la bontà paterna di Dio ci
ha donato: pane e vino, frutti della terra e del lavoro dell’uomo.
E
si fa esperienza di fraternità preoccupandoci di quanti, tra di noi, sono privi
di terra, di lavoro e di pane.
La
processione si snoda portando all’Altare la pisside con le ostie per la
Consacrazione, le ampolle contenenti il vino e l’acqua da versare nel calice.
In
occasioni di maggiore solennità si possono far precedere dall’incenso, e
accompagnare da un piccolo vaso di fiori, recisi e preparati appositamente, da
porre, in segno di festa e di gioia, sull’Altare.
Anche
la raccolta delle offerte per i poveri è un gesto che va compiuto nella verità
evitando che diventi un semplicistico “mettere mano al portafoglio” oppure
che si tramuti in una processione al supermercato con ogni sorta di generi
alimentari.
E’
invece un occasione che la Comunità che celebra deve sfruttare per esprimere la
sua abituale sollecitudine di carità.
LE
PREGHIERE DI AZIONE DI GRAZIE PER IL PANE E IL VINO
dalla
tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (vino)
Le
due preghiere di preparazione (che il sacerdote, secondo quanto è prescritto
nel messale, recita sottovoce) cominciano con una lode del creatore.
Il
pane e il vino vengono designati come suoi doni.
Anche
qui vale la parola della Lettera di Giacomo: “Ogni buon regalo e ogni dono
perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (1,17).
Il
pane è da secoli l’alimento base.
Così
nel dono del pane c’è un riferimento a Dio come creatore, conservatore e
amico della vita.
Lo
stesso vale per il vino, il quale, nell’antico Israele, era insieme alimento,
genere voluttuario e farmaco.
Chi
riflette su questo carattere di dono dell’alimentazione ringrazia.
La
preghiera del pasto è diventata antichissimo uso dell’umanità, uso che ancor
oggi è pieno di significato.
Così
è propria del pasto una componente religiosa, una specie di Consacrazione.
Esso
fonda comunione e amicizia, pace e gioia.
Così
esso poté diventare per Cristo il segno visibile di quel banchetto nel quale
egli stesso diventa cibo, nel quale egli dona agli uomini comunione con il Dio
trino e tra loro, e dà un pegno del banchetto di nozze eterno.
Le
preghiere di preparazione rimandano tuttavia non solo al Dio creatore ma anche
all’uomo, che con faticoso lavoro coltiva grano e uva, che raccoglie e lavora
i loro frutti fino a che questi diventano alimenti che fanno bene.
Poiché
nel pane e nel vino sono contenuti molta cura e molta fatica essi sono frutto
del lavoro dell’uomo.
Per
questo possono diventare anche simbolo dell’uomo stesso che con questi doni
inserisce se stesso nel sacrificio di Cristo.
Gia
la più antica tradizione cristiana vede nel pane e nel vino un simbolo di
quella unione nella quale coloro che ricevono i doni, da uomini trasformati,
crescono insieme come comunità di Cristo, anzi come suo Corpo.
Per
quanto riguarda la qualità del pane e del vino ricordiamo PNMR.
Al
numero 282, a proposito del pane, afferma: “Il pane per la celebrazione
dell’Eucaristia deve essere di solo frumento, confezionato di recente e
azzimo, secondo l’antica tradizione della Chiesa latina”.
Al
numero 283 continua poi: “La materia della Celebrazione Eucaristica si
presenti veramente come cibo. Esso deve essere confezionato in modo che il
sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia
in più parti da distribuire almeno ad alcuni fedeli.
Le
ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando il numero dei
comunicandi o altre ragioni pastorali lo esigano”.
E,
a proposito del vino, al numero 284 si richiede “che sia tratto dal frutto
della vite, che sia naturale, cioè non misto a sostanze estranee”
Le
preghiere di preparazione terminano con il rimando alla destinazione ultima dei
doni: essi devono diventare “cibo di vita eterna” e “bevanda di
salvezza”.
LA
MESCOLANZA DELL’ACQUA
Questo
rito breve e in sé povero è ricco di senso.
Si
sa d’altra parte che nell’antichità il gusto forte del vino veniva rotto
con dell’acqua e che questo avveniva principalmente nei paesi caldi.
Gesù
e i suoi discepoli lo dovettero pertanto fare regolarmente.
E
così San Giustino, nel 150, precisa nella sua prima Apologia che quando le
preghiere sono concluse (si tratta di quella che poi sarebbe diventata la
Preghiera Universale) “viene portato a colui che presiede i fratelli del pane
e una coppa con acqua e vino”.
Ma
a questa usanza, diremmo di carattere dietetico e prudenziale, si sostituisce
rapidamente un significato mistico, che è il solo che resta oggi, e non perché
i nostri vini siano meno consistenti.
Un
secolo più tardi di San Giustino, San Cipriano di Cartagine, lottando contro
gli gnostici che rifiutavano il vino, è testimone del significato spirituale
del rito: “Se qualcuno offrisse solo vino, il Sangue di Cristo si troverebbe
ad essere senza di noi; se si desse solo dell’acqua, sarebbe il popolo ad
essere senza Cristo”.
La
teologia dell’”ammirabile scambio” ha poi trovato con Sant’Agostino la
sua formulazione, espressa oggi nella formula del Messale: “L’acqua unita al
vino sia segno della nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto
assumere la nostra condizione umana”.
Con
parole diverse è quanto si esprime nell’orazione della Messa di Natale: è
cioè richiamo al mistero della Incarnazione.
Si
può aggiungere che l’interpretazione della Liturgia orientale è ancora più
cristologia della nostra: la mescolanza dell’acqua con il vino è il segno
dell’unione dell’umanità e della divinità nella persona del Cristo.
Altri
richiamano le “gocce di sangue e acqua” uscite dal costato di Cristo
trafitto in Croce. (Gv 19,34)
Dove
ci hanno portato queste poche gocce d’acqua !
Tutto
questo fa pensare a quanto bisogno c’è di catechesi per far conoscere il
legame tra la fede e l’azione liturgica.
GLI
ALTRI RITI DI PREPARAZIONE
Il
sacerdote inchinato chiede ciò non solo per sé ma per tutti i partecipanti
dicendo: “Umili e pentiti accoglici, o Signore: ti sia gradito il nostro
sacrificio che oggi si compie dinanzi a te”.
Quindi
si può compiere l’incensazione dei doni, dell’Altare, del sacerdote e
dell’assemblea.
Quando
si parla di incenso, in molte Comunità Parrocchiali, ci si riduce a pensare
all’uso che se ne fa nei funerali, tanto che molti credono abbia una funzione
pratica: quasi a voler coprire l’odore del cadavere.
Invece
in tutte le celebrazioni si può usare tale fumo odoroso, ricco di valore
simbolico antico e sempre nuovo.
E’
necessario allora recuperare il complesso simbolico espresso nell’uso
dell’incenso: il braciere ardente, l’incenso che si consuma, il fumo che
sale e il profumo emanato che invade l’ambiente.
La
nostra persona è interamente coinvolta nella Azione Liturgica in atto.
Con
i gesti come alzarsi, sedersi, inginocchiarsi, battersi il petto, scambiarci il
segno di pace, camminare, …… e con i sensi, siamo chiamati a dimostrare
l’adesione piena all’incontro con il Signore Risorto che pronuncia ancora la
Sua Parola e offre la Sua vita per noi.
Ed
è soprattutto il senso dell’olfatto a percepire la ricchezza di questo segno:
l’incenso crea una atmosfera gradevole e solenne attorno a noi; manifesta il
nostro rispetto e la nostra riverenza verso un simbolo di Cristo (l’Altare, il
pane e il vino) o verso una persona, sacerdote e fedeli; indica un profondo
atteggiamento di preghiera e di adorazione.
L’incenso
è soprattutto simbolo dell’atteggiamento di offerta e di sacrificio dei
credenti davanti a Dio: come i grani dell’incenso vengono totalmente consumati
dalla brace di fuoco effondendo un gradevole profumo così la vita cristiana è
chiamata al dono totale di sé nella gratuità e nella benevolenza.
Ma
dopo aver incensato le offerte e l’Altare vengono, abbiamo detto, incensate le
persone, sacerdote e assemblea.
Sono
esse infatti offerta e omaggio graditi a Dio: è per questo che, mentre viene
incensata, l’assemblea si alza in piedi ad indicare, con il suo atteggiamento
positivo e impegnato, l’unione alle offerte eucaristiche.
Così
l’incenso unisce in qualche modo le persone con l’altare, i doni, ma
soprattutto con Cristo che si offre in sacrificio.
Dopo
aver usato l’incenso è prevista la lavanda delle mani del sacerdote per la
quale, oltre al senso pratico di detergere le mani dal pulviscolo della
cenere e dell’incenso, si è aggiunto il significato di purificazione
interiore bene espresso anche dalla preghiera che accompagna tale gesto:
“Lavami, Signore, da ogni colpa, purificami da ogni peccato”.
Questo
gesto, prescritto per le celebrazioni nelle quali si usa l’incenso, si
conserva ordinariamente in tutte le Celebrazioni Eucaristiche di Rito Romano
compiendolo spesso in modo maldestro e atrofizzato così che non comunica certo
la verità del suo significato.
L’uso
corrente è di versare sulla punto delle dita del sacerdote un po’ d’acqua,
presa, il più delle volte, dall’ampollina che serve per mescere il vino nel
calice per il Sacrificio Divino.
Compiuto
così non comunica il desiderio di purificazione, ha piuttosto il sapore di
voler adempiere una prescrizione fatta dalle rubriche.
Il
significato del gesto in ambito celebrativo impone che sia compiuto nella verità:
per il calice c’è l’ampollina adatta a contenere un po’ d’acqua da
usare per temprare il vino; per le mani occorre una caraffa con il relativo
catino e asciugatoio.
Solo
così, compiendo ogni gesto nel rispetto del suo significato proprio, esprimiamo
non tanto la preoccupazione di rispettare le regole scritte ma, molto più,
vogliamo professare la nostra adesione sincera a ciò che stiamo vivendo nel
rito.
L’ORAZIONE
SULLE OFFERTE
“Deposte
le offerte sull’Altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il
sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia
l’orazione sulle offerte: si conclude così la Preparazione dei Doni e si
prelude alla Preghiera Eucaristica”. (PNMR 53)
Per
i Riti di Offertorio, quando non si usa l’incenso, l’assemblea rimane seduta
sino all’orazione sulle offerte.
Ma
in molte comunità è ancora diffuso l’uso di alzarsi solo all’invito del
sacerdote, “Il Signore sia con voi”, con il quale si dà inizio al prefazio.
La
preghiera sulle offerte è preghiera presidenziale, viene pronunciata a voce
alta dal sacerdote, con le braccia allargate, a nome di tutta la comunità che,
quindi, esprime la sua partecipazione stando in piedi e rispondendo “Amen”.
Quindi
anche se non è introdotta, come per la preghiera di colletta,
dall’esortazione esplicita “preghiamo”, al suo inizio ci alziamo tutti in
piedi: un modo semplice per esprimere nel gesto il comune sacerdozio
battesimale.
La
posizione del nostro corpo ha un significato proprio all’interno della
Liturgia: conoscerlo è preludio per viverlo veramente con maggior coscienza e
coerenza, è partecipazione piena.
LA
PREGHIERA EUCARISTICA
IL
SIGNIFICATO DELLA PREGHIERA EUCARISTICA
Il
sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera
e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera che egli,
a nome di tutta la comunità, rivolge al Padre per mezzo di Gesù Cristo.
Il
significato di questa preghiera è che tutta l’assemblea si unisca insieme con
Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio”.
(PNMR 54)
Ed
eccoci giunti al cuore della Celebrazione Eucaristica che è memoriale della
Pasqua di Gesù, del Suo sacrificio sulla croce e della Sua Risurrezione
gloriosa.
Le
diverse narrazioni neotestamentarie della Cena Pasquale sono concordi
nell’affermare che Gesù “prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede
ai suoi discepoli dicendo: prendete, mangiatene…e bevetene tutti. Questo è il
mio corpo, questo è il mio sangue che è per voi”.
La
sequenza di tali azioni (prendere il pane e il calice, rendere grazie al Padre
con una preghiera di benedizione, spezzare il pane e distribuire pane e calice
ai presenti) viene assunta dalla comunità ecclesiale riunita per fare memoria
di questo evento di salvezza, perché, attraverso la partecipazione a questo
dono d’amore, la forza della Pasqua di Gesù continui a rinnovare il mondo.
Con
i Riti di offertorio infatti l’assemblea celebrante ha “preso il pane e il
calice”, ora, con la grande Preghiera Eucaristica, dà voce, in Cristo Gesù,
al rendimento di grazie al Padre e, in questa preghiera di benedizione, la
Chiesa esprime la sua fede, la sua carità nella beata speranza, rendendo a Dio,
per Cristo nello Spirito, ogni onore e gloria.
Rendere
grazie, per la Chiesa, significa collocare la propria preghiera all’interno di
una storia attraverso la quale Dio si è progressivamente andato rivelando come
il Dio dell’alleanza.
Vuole
cioè dire “far memoria” del suo amore per noi, nel senso profondo, di
continuare, da parte di Dio, un gesto di salvezza, e di confessare, da parte
della comunità ecclesiale, che Dio è Signore della storia e del cosmo e amante
dell’uomo.
La
Preghiera Eucaristica è pertanto il luogo privilegiato della Professione di
Fede di un popolo e, insieme, momento di grazia con cui Dio ci costituisce
popolo dell’alleanza.
Rendere
gloria a Dio manifesta la forma più alta e più vera del nostro parlare di Dio,
quella che maggiormente esprime la totale gratuità di un dono da cui non
possono che sgorgare l’adorazione e il rendimento di grazie.
Una
preoccupazione costante della catechesi e della formazione liturgica è che
tutti giungano a una comprensione profonda e vitale della Preghiera Eucaristica.
Come
sarebbe bello se nelle nostre Comunità Parrocchiali si avesse la costante
attenzione di introdurre tutti, ma proprio tutti coloro che vi partecipano,
bambini e adulti, giovani e anziani, a comprendere e vivere ciò che celebrano!!
LE
DIVERSE FORME DI PREGHIERA EUCARISTICA
“A
questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera
celebrazione”. (PNMR 54)
Per
esso non si ebbe dall’inizio un testo unitario, ma si sviluppò una
molteplicità di forme.
La
più antica Preghiera Eucaristica, a noi tramandata per la Chiesa Romana, si
trova negli scritti del prete romano Ippolito ed è dell’anno 215.
Egli,
intendendo la sua preghiera come una “forma quadro”, riconosceva ad ogni
vescovo il diritto della libera creazione di testi, purché rimanesse fedele
alla tradizione della fede.
Per
questo motivo non meraviglia che anche il suo modello abbia conosciuto nella
Chiesa romana numerose variazioni e aggiunte così da essere ancora
difficilmente riconoscibile.
Ciò
è accaduto specialmente nel passaggio dalla lingua liturgica greca a quella
latina e ha portato solo lentamente a una forma stabile di Preghiera
Eucaristica.
Sotto
Gregorio I questo sviluppo giunse, in certo modo, a una conclusione, e
tale Canone Romano si è mantenuto, anche se non del tutto invariato, sino al
Concilio Vaticano II.
Ma
la storia della Santa Messa mostra come certi cambiamenti nella struttura e
nella scelta delle parole da parte dell’autorità ecclesiastica non siano in
opposizione con l’istituzione di Cristo.
A
partire dall’ottavo secolo si formò l’idea che il Canone iniziasse solo
dopo il Sanctus.
Ciò
fu messo in rilievo anche graficamente con il miniare la prima lettera del Te
igitur come una grande iniziale e con l’inserire a questo punto in manoscritti
e libri una immagine a tutta pagina della crocifissione.
In
questo modo, con la separazione del prefazio e del Sanctus, il rendimento di
grazie e la lode in questa Preghiera eucaristica furono ridotti a un minimo.
Quando,
dopo il Vaticano II, si cercò di riformare tale Canone romano con le sue
numerose preghiere di domanda e con l’elemento solo debolmente rappresentato
della lode e del rendimento di grazie, questo intento si presentò come
impossibile.
Perciò,
il Papa Paolo VI consentì alla proposta di porre accanto al Canone Romano, solo
leggermente modificato, tre nuove Preghiere Eucaristiche.
Ecco
allora che, nel Messale del 1970, abbiamo:
Preghiera
Eucaristica I (Canone romano)
Salvo
piccoli ritocchi fu introdotta la forma unitaria delle parole dell’Istituzione
per tutte le Preghiere Eucaristiche e la Acclamazione “Annunziamo la tua
morte…”.
Per
quanto riguarda le variazioni rituali, si sono ridotti a uno i precedenti
venticinque segni di croce e si è rinunciato ai due baci dell’Altare previsti
dal Canone.
E’
il risultato di una operazione con cui si è rielaborata una nuova forma della
Preghiera Eucaristica di Ippolito, con l’introduzione del Sanctus ivi
mancante, di una Epiclesi dello Spirito Santo e di una diversa successione di
alcuni testi.
Si
tratta di una nuova creazione.
Essa
si caratterizza anzitutto per il fatto che connette i singoli elementi
strutturali in modo più organico e chiaro con la ripresa non solo di elementi
dal Canone romano, ma anche di idee e testi della tradizione liturgica e
teologica.
Questa
Preghiera Eucaristica si collega alla tradizione della chiesa Orientale.
Essa
possiede un Prefazio invariabile e, cominciando da esso, porta avanti la lode e
il rendimento di grazie per le azioni salvifiche di Dio, oltre il Sanctus, sino
al Mistero Pasquale di Cristo e all’invio dello Spirito Santo.
Di
qui essa , dopo l’Epiclesi dello Spirito Santo, passa al Racconto
dell’Istituzione dell’Eucaristia.
Tale
ampia esaltazione dell’opera della salvezza è come una Professione
dell’intera Fede cristiana nel segno della lode.
E’
per questo che sarebbe un indesiderabile doppione se si recitasse tale Preghiera
Eucaristica in una Santa Messa in cui già si recita il Credo.
Dalla
sua seconda edizione del 1983, il Messale Romano italiano possiede inoltre una
Preghiera Eucaristica V, la Preghiera Eucaristica detta del Sinodo Svizzero del
1974, in quattro forme, e una Preghiera Eucaristica della Riconciliazione in due
forme.
Tre
Preghiere Eucaristiche dei Fanciulli sono contenute in un apposito Messale.
Accanto
alle Preghiere Eucaristiche ufficiali sorsero, a partire dal 1967, numerose
Preghiere Eucaristiche di origine privata, provenienti soprattutto
dall’Olanda, che ebbero vastissima diffusione pur essendone vietato il loro
uso da numerosi vescovi.
Certo
si dovrà riconoscere a tutte le epoche il diritto di proclamare la lode di Dio
a partire dalla loro viva coscienza di fede e nella loro lingua.
D’altra
parte l’approvazione da parte della gerarchia della Chiesa è un aiuto
necessario perché “il momento centrale e culminante” della Liturgia
cristiana non venga falsato da particolarità contingenti e da motivi
soggettivi.
LA
STRUTTURA DELLA PREGHIERA EUCARISTICA
“Gli
elementi principali di cui consta la Preghiera Eucaristica si possono
distinguere come segue:
1.
L’Azione di Grazie (che si esprime principalmente nel Prefazio): il
sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende
grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche aspetto particolare, a
seconda della diversità del giorno, della Festa o del Tempo.
2.
L’Acclamazione: tutta l’assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o
recita il Santo. Questa Acclamazione, che fa parte della Preghiera Eucaristica,
è pronunziata da tutto il popolo con il sacerdote.
3.
L’Epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza divina,
perché i doni offerti dagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo
e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella
comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
4.
Il Racconto dell’Istituzione e la Consacrazione: mediante le parole e i
gesti di Cristo si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima
Cena, quando offrì il suo Corpo e il Suo Sangue sotto le specie del pane e del
vino, lo diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di
perpetuare tale mistero.
5.
L’Anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per
mezzo degli Apostoli, celebra la memoria di Cristo, ricordando soprattutto la
Sua Beata Passione, la Gloriosa Risurrezione e l’Ascensione al cielo.
6.
L’Offerta: nel corso di questa stessa memoria la chiesa, in modo particolare
quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito
Santo la vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la
vittima immacolata, ma anche imparino a offrire se stessi e così portino ogni
giorno più a compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio
e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti.
7.
Le Intercessioni: in esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in
comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l’offerta è
fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati
chiamati alla salvezza acquistata per mezzo del Corpo e Sangue di Cristo.
8.
La Dossologia finale che esprime la glorificazione di Dio: essa viene
ratificata e conclusa con l’acclamazione del popolo.
La
Preghiera Eucaristica esige che tutti l’ascoltino con rispetto e in silenzio,
e vi partecipino con le Acclamazioni previste nel rito.”