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I Riti di ingresso |
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La
Celebrazione Eucaristica inizia con i Riti di Ingresso.
Con
essi si celebra l’Incarnazione del Verbo Divino, l’ingresso del Figlio di
Dio, Gesù Salvatore, nella storia dell’uomo e, conseguentemente,
l’introduzione dell’umanità nella vita di Dio.
Scopo
principale di tali Riti è che “i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità
e si dispongano ad ascoltare con fede la Parola di Dio e a celebrare degnamente
l’Eucaristia” (PNMR 24).
LA PROCESSIONE INTROITALE
Tra
le diverse processioni che si fanno nel corso della Celebrazione Eucaristica
(verso l’ambone per la Proclamazione della Parola di Dio, verso l’altare per
la Processione dei Doni, verso il Sacramento del Corpo e Sangue di Gesù alla
Comunione) la prima si muove dalla porta principale della Chiesa e và verso
l’altare.
Essa
celebra la venuta del Signore Gesù, Figlio di Dio.
E’
aperta dai ministri che presteranno il loro servizio durante la Celebrazione:
accoliti, lettori, …; il sacerdote che presiede l’Eucaristia è all’ultimo
posto, segno di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote fattosi per noi servo
obbediente sino alla morte di croce (Fil 2,6-11).
Per
le Celebrazioni più solenni la processione si compone così: apre il
turiferario; segue il crocifero accompagnato da due ministri con le candele
accese, quindi i lettori, gli accoliti e gli altri ministri; infine il diacono
che porta l’Evangeliario, i concelebranti e, da ultimo, colui che presiede la
Celebrazione Eucaristica (PNMR 82).
L’assemblea
partecipa alla processione stando ferma al proprio posto e accogliendo i suoi
ministri con il canto di ingresso, la cui funzione è quella “di dare inizio
alla Celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro
spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività e accompagnare la
processione del sacerdote e dei ministri” (PNMR 25).
L’armonia
delle voci esprime dunque la concordia e l’unità dei credenti.
Così, essere presenti, fin dall’inizio della Celebrazione è segno di una partecipazione viva e consapevole, che non si lascia sfuggire nemmeno l’occasione del canto di inizio per farsi introdurre nel Mistero di Cristo Gesù celebrato nel tempo.
IL
SALUTO DELL’ALTARE E DELL’ASSEMBLEA
“Giunti in presbiterio il sacerdote e i ministri salutano l’altare. In segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote lo può incensare secondo l’opportunità” (PNMR 27).
L’altare, dedicato a Dio soltanto, in uno speciale Rito è stato unto, incensato, rivestito e illuminato.
Questi gesti riflettono il mistero di Cristo Gesù.
Con l’unzione del Crisma, l’altare diviene simbolo di Cristo, che è ed è chiamato l’Unto di Dio, cioè il consacrato per eccellenza.
L’incenso bruciato richiama il sacrificio di Gesù che ha offerto la sua vita in odore di soavità.
La copertura dell’altare con la tovaglia indica che esso è ara del sacrificio e mensa del Signore.
Attorno ad esso stanno sacerdoti e fedeli che, svolgendo insieme la stessa Azione Sacra (anche se con compiti diversi), celebrano il memoriale della Morte e Risurrezione di Cristo e partecipano alla Cena del Signore.
E’ per questo che l’altare viene preparato e ornato a festa: è la mensa attorno a cui la Chiesa pellegrina si raccoglie con gioia per nutrirsi del cibo divino ed avere la forza di essere luce nel mondo, ad imitazione di Cristo, luce per illuminare le genti (Lc 2,32).
Questo è il significato dell’ultimo gesto del Rito di Dedicazione: l’illuminazione dell’altare.
“Terminato il canto di ingresso, il sacerdote e tutta l’assemblea si segnano con il segno della croce. Poi il sacerdote con il saluto annuncia alla comunità riunita la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata” (PNMR 28).
L’altare è salutato dall’assemblea nei suoi ministri, e l’assemblea è salutata dai ministri che con lei hanno salutato l’altare.
Con tale reciproco saluto si manifesta il mistero della Chiesa così come è stato nel saluto all’altare.
“Se il vero altare è Cristo, capo e maestro, anche i discepoli membra del suo corpo, sono altari spirituali, sui quali viene offerto a Dio il sacrificio di una vita santa”.
Le
azioni compiute frequentemente sono esposte al pericolo di perdere, nel
compimento esterno, la bellezza della forma e, in quello interno, forza e
profondità.
E’
il caso del segno di croce.
“Salutato il popolo il sacerdote o un altro ministro che ne sia capace può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno. Quindi il sacerdote invita all’atto penitenziale, che viene compiuto da tutta la comunità mediante la confessione generale, e si conclude con l’assoluzione del sacerdote. Dopo l’atto penitenziale ha inizio il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto durante l’atto penitenziale. Essendo un canto con il quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, viene eseguito da tutti, in alternanza tra popolo e la schola –corale- o un cantore” (PNMR 29-30).
Ai
Riti preparatori della Messa appartiene anche un atto penitenziale, cioè una
confessione della colpa, animata da pentimento, e la domanda di perdono.
Chi
si avvicina al Dio Santo non deve farlo con animo altero e pieno di se!!
Anche
il cristiano deve aver coscienza di quanto sia inferiore all’ideale.
“Se
diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in
noi. Se riconosciamo i nostri peccati, Egli che è fedele e giusto ci perdonerà
i peccati e ci purificherà da ogni colpa” (1 Gv 1,8s).
E’
quindi conveniente, anzi, necessario, che i fedeli all’inizio della Santa
Messa prendano coscienza della loro colpa, la confessino e ne chiedano perdono.
Invece
delle precedenti preghiere ai piedi dell’altare con la confessione dei peccati
(Confiteor), il nuovo ordinamento della Messa conosce tre forme possibili di
atto penitenziale.
Esse
vengono introdotte con un invito alla confessione della colpa, cui segue una
breve pausa di riflessione, conclusa con una domanda di perdono da parte del
sacerdote.
La
prima forma di atto penitenziale consiste nella confessione comune delle colpe
sulla traccia del precedente Confiteor.
La
seconda invece consiste in una breve preghiera scambiata tra il sacerdote e
l’assemblea.
La
terza forma infine collega tre invocazioni (che possono anche essere formulate
liberamente) a Cristo con il Kyrie.
Si
ricorda che se si usa questa forma di atto penitenziale non è più necessario
ripetere il Kyrie!!
Le
domeniche poi, in luogo dell’atto penitenziale, può esserci l’aspersione
dell’assemblea con l’acqua lustrale, con il significato di una
commemorazione del Battesimo.
Tale
Rito, che godette di grande favore già nei secoli passati, viene descritto nel
Messale Romano alle pagine 1031-1036.
Dice
PNMR al numero 29: “Il sacerdote o un altro ministro che ne sia capace può
fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno”.
Nelle
nostre parrocchie esiste la figura del commentatore?
Come
abbiamo visto, l’atto penitenziale può, in alcune circostanze, essere
sostituito dal Rito dell’Aspersione con l’acqua lustrale. Nelle nostre
parrocchie viene, soprattutto nel tempo pasquale, dato risalto a tale gesto
penitenziale?
Se
si, a ricordo del nostro Battesimo, andrebbe compiuto con ampiezza di gesto,
percorrendo le navate della chiesa in modo che un numero più possibile di
persone possa essere raggiunto dall’acqua lustrale!!
“Il Gloria è un Inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello” (PNMR 31).
Il
canto del Gloria è una Grande Dossologia, un grande Inno di lode.
Nasce
per la Messa di Natale e riprende nella sua introduzione l’Inno che gli
angeli, secondo la narrazione evangelica di Luca, cantavano nella Notte Santa
all’annuncio della nascita del Salvatore Gesù: “Gloria a Dio nel più alto
dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”:
Questo
Inno, così ricco di Scrittura, di Teologia e di tradizione, non si può non
cantare alla Domenica, nelle Solennità, nelle Feste e in particolari
Celebrazioni più solenni: così si imprime alla Celebrazione Eucaristica, fin
dal suo inizio, il tono gioioso della festa cristiana.
Ricordo
che è omesso nei tempi forti di preparazione al Natale e alla Pasqua: non si
canta perciò durante le Domeniche di Avvento e di Quaresima.
“Poi il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme con il sacerdote stanno qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e per poter formulare nel proprio cuore la preghiera personale. Quindi il sacerdote dice l’orazione, chiamata comunemente colletta. Per mezzo di essa viene espresso il carattere della Celebrazione e con le parole del sacerdote si rivolge la preghiera a Dio Padre, per mezzo del Cristo, nello Spirito Santo. Il popolo, unendosi alla preghiera ed esprimendo il suo assenso, fa sua l’orazione con l’Amen” (PNMR 32).
La
colletta è la prima delle tre orazioni presidenziali: le altre sono
l’orazione sulle offerte e il post communio.
Tali
preghiere sono pronunciate, a nome dell’intero popolo di Dio, dal ministro che
presiede la Celebrazione a nome di Cristo Capo che guida e nutre il Suo Corpo,
la Chiesa, e quindi sono rivolte a Dio Padre nello Spirito Santo.
La
natura stessa di queste preghiere presidenziali chiede che siano pronunciate ad
alta voce e chiaramente, e che siano ascoltate da tutti in piedi e con
attenzione.
E’
pertanto ovvio che mentre il sacerdote le pronuncia non si debbano sovrapporre
ad esse canti, musiche o preghiere di alcun genere: nella voce del celebrante è
racchiusa la voce dell’assemblea e dell’intero popolo di Dio.
Ma
cosa significa “colletta”?
Il
termine in se non significa orazione, ma riunione, raccolta.
Posta
dopo la litania del Kyrie, è introdotta da un breve silenzio in cui tutti i
presenti sono invitati a presentare le proprie intenzioni particolari.
La
preghiera di colletta ha proprio la funzione di raccogliere ogni istanza e
presentarla, attraverso le parole della Chiesa, al Padre, per Cristo Gesù,
nello Spirito Santo.
E’
quindi un momento importante di partecipazione attiva di tutto il popolo
convocato alla Celebrazione Eucaristica e non una cosa riservata solo al
sacerdote celebrante!!
Come
tale questo momento va preparato con cura e attenzione.