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Alcune vesti nel loro significato

   

 

Come tutti i segni liturgici anche le vesti radicano il loro significato nella natura e nella cultura dell'uomo; ma questo significato viene ampliato e spiritualizzato alla luce della Scrittura, e specialmente alla luce della morte e risurrezione di Cristo. Un esempio per chiarire il pensiero. Il pane per celebrare l'Eucaristia non serve per sfamarsi, secondo il suo scopo originario e fondamentale, ma pur mantenendo il suo significato principale assume dimensioni ben più ampie per esprimere un alimento spirituale che si identifica con la Parola fatta carne.

Allo stesso modo le vesti LITURGICHE non servono per riparare il corpo dal freddo, né tanto meno per dare sfogo all'umana vanità. Diventano piuttosto segno dì una realtà interiore, di una missione e di un servizio. Anche le vesti, come tutti gli altri segni liturgici, hanno origini molto umane... Ora, non per semplice curiosità, ma per un uso corretto, è assai utile andare alle origini di alcune vesti liturgiche, almeno di quelle che appaiono maggiormente nelle nostre normali assemblee e che forse suscitano nei nostri fedeli anche qualche giustificato interrogativo.  

Dal camice alla cotta

  «La veste sacra comune a tutti i ministri di qualsiasi grado è il camice, stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Se il camice non copre pienamente attorno al collo l'abito comune, prima di indossarlo si deve mettere l'amitto» (PNMR 298).

Questa è la nuda descrizione della norma; non deve tuttavia sfuggire che la tunica bianca, o camice, è «la veste sacra comune a tutti i ministri di qualsiasi grado». E' infatti la prima veste che è entrata nell'uso liturgico. E non poteva essere diversamente in quanto il camice deriva direttamente dalla tunica, cioè dall'abito inferiore comune a tutti gli uomini nell'antico Impero romano.

Era generalmente di filo bianco o comunque di colore chiaro, ornata sovente da due semplici galloni purpurei che scendevano paralleli sul davanti e sul dorso. In casa si lasciava sciolta; in pubblico veniva stretta alla vita con una cintura in modo che restasse un po' sollevata sul davanti per non ostacolare il passo. Tralasciamo altri interventi particolari che ci porterebbero assai lontani dal nostro scopo. Basti ricordare che questo indumento inferiore, indossato ovviamente subito dopo l'immersione battesimale, assume già verso la fine del V secolo un significato altamente simbolico, come appare ancora oggi nel rito battesimale. E' questo pertanto l'indumento familiare che, anche quando la moda cambiò, il ministro sacro, per rispetto verso l'antica tradizione, continuò a indossare, diventando così sempre più un segno distintivo e simbolico all'interno del culto.

Per questo nel tardo Medioevo (XI sec.), in un contesto molto sensibile all'allegoria e alla rappresentazione, la tunica (chiamata anche alba proprio per il suo colore bianco), cominciò ad essere sempre più ornata con ricami figurativi. Dopo il XV secolo, con il diffondersi dell'industria del merletto, il camice (dal latino medievale camisia, termine usato per indicare l'alba) perde il suo aspetto originario e si tra­sforma in un prezioso indumento di pizzo che ovviamente non ha più alcun richiamo battesimale. Con l'avvento e la diffusione dell'abito talare come veste quotidiana dei ministri ordinati (XVI sec.) si diffonde l'uso di quella "tunica" accorcia che è la cotta. Le origini della cotta sono tuttavia da ricercarsi nei Paesi nordici, dove chierici e monaci usavano una mantella di pelliccia per ripararsi dal freddo durante le celebrazioni. Da qui il termine di superpelliceo che troviamo nei vecchi testi prima del Concilio per indicare appunto questa veste. Questo spiega perché l'uso della cotta sia stato assai ridotto dalla recente riforma liturgica che comunque favorisce sempre l'uso del camice.  

 La stola

  Forse più di altri elementi dell'abbigliamento cultuale, la stola attira l'attenzione dei fedeli, se non altro per il fatto che il diacono, a differenza del prete e del vescovo, la porta di sbieco, sulla spalla sinistra. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un elemento che faceva parte dell'antico e comune abbigliamento e che solo successivamente ha assunto una dimensione simbolica all'interno del culto cristiano. Per la stola le origini non sono sempre chiare; anche per questa ragione il simbolismo medievale al riguardo sì è sviluppato con particolare fantasia.

Tanto per cominciare questa insegna riservata al ministri ordinati è chiamata stola verso la fine del VII secolo. Prima si chiamava orarium (dal latino osoris­=bocca). In origine si trattava infatti di un panno fine che le persone di un certo rango portavano al collo come una sciarpa per tergersi la bocca e asciugarsi il volto dal sudore; oggetto particolarmente utile per gli oratori. Si può facilmente indovinare per quali motivi pratici sia entrato nell'uso liturgico. Comunque sia assunse ben presto un significato diverso da quello originale, soprattutto a causa del suo nome interpretato in relazione alla preghiera e alla predicazione (orare = pregare, predicare).

Questo spiega perché la stola diventa l'insegna riservata ai ministri ordinati e quindi qualificati per la predicazione. Il diverso modo di portare la stola da parte dei diaconi sembra essere stato determinato dalla più antica prassi comune di portare generalmente questo sudarium sulla spalla sinistra.

In Oriente tale oggetto venne ben presto interpretato per i diaconi come segno del loro servizio. Così infatti un antico testo di S. Isidoro da Pelusio (+440) dice che la stola «con la quale i diaconi fanno il loro servizio nei sacri ministeri, rammenta l'umiltà del Signore quando lavò e asciugò i piedi dei suoi discepoli». Al dl là delle sue origini non sempre lineari, è un fatto che la stola è diventata l'insegna qualificante dei ministri ordinati al punto che le norme per la celebra­zione eucaristica recitano così: «La stola è sempre necessaria sia per il sacerdote che per il diacono» (PNMR 81). Ed è quindi con questo significato che oggi dobbiamo guardare a tale insegna.     

La casula

  Ormai non ci si stupisce più: le vesti liturgiche affondano le loro radici nell'abbigliamento profano. Anche questo è un aspetto dell'incarnazione, di quella salvezza che si radica nella natura e nella storia dell'uomo, che eleva, ma non distrugge! Anche la casula che oggi il prete indossa sopra il camice e la stola è il risultato dell'evoluzione di un antico mantello di forma circolare con un foro al centro per passarvi la testa e che serviva per ripararsi dalle intemperie e dal freddo.

Casula infatti significa "piccola casa"! Il termine pianeta invece, invalso nell'area linguistica italiana, sì richiama alla sua forma circolare dal verbo greco planàsthai, che significa appunto girare. Non per niente i pianeti che girano attorno al sole si chiamano cosi! Orbene, questo mantello, per la maggior comodità di azione, già nel II secolo sostituisce la toga romana e diventa così segno distintivo dei senatori. Ed è come distintivo delle persone di rango che viene usato e poi conservato dai preti nello svolgimento del loro compito liturgico. Così nel secolo VIII questo abito antico, evolutosi nell'uso del popolo, lo troviamo invece conservato e consegnato ritualmente nell'ordinazione dei presbiteri.

Al fine di rendere sempre più agevole il movimento delle braccia, la casula tende ad essere ristretta e mutilata sui fianchi fino a raggiungere nel secolo XVI quella forma tipica ed esteticamente infelice, che copre davanti e dietro senza alcun richiamo simbolico. Queste due superfici cadenti davanti e dietro divennero nell'epoca barocca spazi per preziosi ricami, veri capolavori che ancora oggi suscitano stupore nei musei diocesani.

Nel culto oggi è ritornata invece la casula che nella sua semplicità avvolge e ricopre la persona del prete quasi a ricordare quell'investitura ricevuta nell'ordinazione e che nelle più importanti celebrazioni liturgiche lo fa quasi scomparire come individuo ben identificato per evidenziare che egli agisce nel nome e nella persona di Cristo e della sua Chiesa.  

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