Seconda tra le sette « lampade della santificazione » per papa Giovanni
era la speranza. Vi parlo oggi di questa virtù, che è obbligatoria per
ogni cristiano. Dante nel suo Paradiso (1) ha immaginato di presentarsi
a un esame di cristianesimo. Funzionava una commissione coi fiocchi. «
Hai la fede? » gli chiede prima San Pietro. « Hai la speranza? »
continua S. Giacomo. « Hai la carità? » finisce S. Giovanni. « Sì -
risponde Dante - ho la fede, ho la speranza, ho la carità », lo dimostra
e viene promosso a pieni voti. Ho detto che è obbligatoria: non per
questo la speranza è brutta o dura: anzi, chi la vive viaggia in un
clima di fiducia e di abbandono, dicendo con il salmista: « Signore, tu
sei la mia roccia, il mio scudo, la mia fortezza, il mio rifugio, la mia
lampada, il mio pastore, la mia salvezza. Anche se si accampasse contro
di me un esercito, non temerà il mio cuore; e se si leva contro di me la
battaglia, anche allora io sono fiducioso ».
Direte: non è esageratamente entusiasta questo salmista? Possibile
che, a lui, le cose siano sempre andate tutte diritte? No, non gli sono
andate diritte sempre. Sa anche lui, e lo dice, che i cattivi spesso
sono fortunati ed i buoni oppressi. Se ne è anche lamentato talvolta con
il Signore; è arrivato a dire: « Perché dormi, Signore? Perché taci?
Svegliati, ascoltami, Signore ». Ma la sua speranza è rimasta: ferma,
incrollabile. A lui e a tutti gli speranti si può applicare quello che
ha detto S. Paolo di Abramo: « credette sperando contro ogni speranza
»(2). Direte ancora: come può avvenire questo? Avviene, perché ci si
attacca a tre verità: Dio è onnipotente, Dio mi ama immensamente, Dio è
fedele alle promesse. Ed è Lui, il Dio della misericordia, che accende
in me la fiducia; per cui io non mi sento né solo, né inutile, né
abbandonato, ma coinvolto in un destino di salvezza, che sboccherà un
giorno nel Paradiso. Ho accennato ai Salmi. La stessa sicura fiducia
vibra nei libri dei Santi. Vorrei che leggeste un'omelia tenuta da S.
Agostino nel giorno di Pasqua sull'Alleluia. Il vero Alleluia - dice
pressappoco - lo canteremo in Paradiso. Quello sarà l'Alleluia
dell'amore pieno: questo, di adesso, è l'Alleluia dell'amore affamato,
cioè della speranza.
Qualcuno dirà: ma se io sono povero peccatore? Gli rispondo come
risposi a una signora sconosciuta, che s'era confessata da me molti anni
fa. Essa era scoraggiata, perché - diceva - aveva avuta una vita
moralmente burrascosa. Posso chiederle - dissi - quanti anni ha? -
Trentacinque. - Trentacinque! Ma lei può viverne altri quaranta o
cinquanta e fare ancora un mucchio di bene. Allora, pentita com'è,
invece che pensare al passato, si proietti verso l'avvenire e rinnovi,
con l'aiuto di Dio, la sua vita. Citai in quell'occasione S. Francesco
di Sales, che parla delle « nostre care imperfezioni ». Spiegai: Dio
detesta le mancanze, perché sono mancanze. D'altra parte, però, in un
certo senso, ama le mancanze in quanto danno occasione a Lui di mostrare
la sua misericordia e a noi di restare umili e di capire e compatire le
mancanze del prossimo.
on tutti condividono questa mia simpatia per la speranza. Nietzsche -
per esempio - la chiama « virtù dei deboli »; essa farebbe del cristiano
un inutile, un separato, un
rassegnato, un estraneo al progresso del mondo. Altri parlano di «
alienazione », che distoglierebbe i cristiani dalla lotta per la
promozione umana. Ma « il messaggio cristiano - ha detto il Concilio -
lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo... li
impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente »(3).
Sono anche affiorate ogni tanto nel corso dei secoli affermazioni e
tendenze di cristiani troppo pessimisti nei confronti dell'uomo. Ma tali
affermazioni sono state disapprovate dalla Chiesa e dimenticate grazie
ad una schiera di santi lieti e operosi, all'umanesimo cristiano, ai
maestri ascetici, che Saint-Beuve chiamò « les doux » e a una teologia
comprensiva. S. Tommaso d'Aquino, ad esempio, pone tra le virtù la
iucunditas ossia la capacità di convertire in un sorridere giocondo -
nella misura e nel modo conveniente - le cose udite e vedute(4).
Giocondo a questo modo - spiegavo ai miei alunni - è stato quel muratore
irlandese che cascò dall'impalcatura e si ruppe le gambe. Portato
all'ospedale, accorsero il dottore e la suora infermiera. « Poverino -
disse quest'ultima - vi siete fatto male cascando ». Ma il malato: «
Madre, non precisamente cascando, ma arrivando a terra mi son fatto male
». Dichiarando virtù lo scherzare e il far sorridere, S. Tommaso si
trovava d'accordo con la « lieta novella » predicata da Cristo, con l'hilaritas
raccomandata da Sant'Agostino, sconfiggeva il pessimismo, vestiva di
letizia la vita cristiana, ci invitava a farci coraggio anche con le
gioie sane e pure, che incontriamo sul nostro cammino. Quand'ero
ragazzo, ho letto qualcosa su Andrea Carnegie scozzese, passato coi
genitori in America e diventato un po' alla volta uno dei più ricchi
uomini del mondo. Egli non era cattolico, ma mi colpì il fatto che
ritornasse con insistenza sulle gioie schiette ed autentiche della sua
vita. « Sono nato in miseria - diceva - ma non cambierei i ricordi della
mia fanciullezza con quelli dei figli dei milionari. Che ne sanno essi
delle gioie familiari, della dolce figura di madre che combina in sé le
mansioni di bambinaia, di lavandaia, di cuoca, di maestra, di angelo e
di santa? ». S'era impiegato giovanissimo in una filanda di Pittsburg
con 56 misere lire mensili di stipendio. Una sera, invece di dargli
subito lo stipendio, il cassiere gli disse di attendere. Carnegie
tremava: « Adesso mi licenziano ». Invece, pagati gli altri, il cassiere
gli disse: « Andrea, ho seguito attentamente il vostro lavoro; ho
concluso che vale di più di quello degli altri. Vi porto lo stipendio a
67 lire ». Carnegie tornò correndo a casa, dove la mamma pianse di
contentezza per la promozione del figlio. « Parlate di milionari -
diceva Carnegie molti anni dopo - tutti i miei milioni messi assieme non
mi hanno procurato mai la gioia di quelle undici lire di aumento ».
Certo, queste gioie, pur buone e incoraggianti, non vanno assolutizzate;
sono qualcosa, non il tutto; servono come mezzo, non sono lo scopo
supremo; non durano sempre, ma solo breve tempo. « Di esse - scriveva S.
Paolo - usino i cristiani, ma come non ne usassero, perché passa la
scena di questo mondo »(5). Cristo aveva già detto: « Cercate prima di
tutto il regno di Dio »(6).
Per finire, vorrei accennare ad una speranza, che da alcuni è
proclamata cristiana, ed invece è cristiana solo fino ad un certo punto.
Mi spiego: al Concilio ho votato anch'io il « Messaggio al Mondo » dei
Padri Conciliari. Dicevamo in esso: il compito principale del
divinizzare non esime la Chiesa dal compito dell'umanizzare. Ho votato
la « Gaudium et Spes », mi sono commosso ed entusiasmato quando è uscita
la « Populorum Progressio ». Penso che il Magistero della Chiesa non
insisterà mai abbastanza nel presentare e raccomandare la soluzione dei
grandi problemi della libertà, della giustizia, della pace, dello
sviluppo; ed i laici cattolici mai abbastanza si batteranno per
risolvere questi problemi. È, invece, errato affermare che la
liberazione politica, economica e sociale coincide con la salvezza in
Gesù Cristo, che il Regnum Dei si identifica con il Regnum hominis, che
Ubi Lenin ibi Ierusalem.
A Friburgo, nell'85° Katholikentag è stato trattato nei giorni scorsi
il tema « il futuro della speranza ». Si parlava del « mondo »da
migliorare, e la parola « futuro » ci stava bene. Ma se dalla speranza
per il « mondo » si passa a quella per le singole anime, allora bisogna
parlare anche di « eternità ». Ad Ostia, sulla riva del mare, in un
famoso colloquio, Agostino e Monica, « dimentichi del passato e volti
all'avvenire, si domandavano cosa sarebbe stata mai la vita eterna »(7).
Questa è speranza cristiana; questa intendeva papa Giovanni e questa
intendiamo noi, quando, con il catechismo, preghiamo: « Mio Dio, spero
dalla bontà vostra... la vita eterna e le grazie necessarie per
meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. Mio Dio, che
io non resti confuso in eterno ».
Ai partecipanti alla
riunione del Comitato europeo mondiale delle religioni per la pace
Nous adressons un salut
cordial aux membres du Comité européen de la Conférence mondiale des
Religions pour la Paix, réunis ces jours-ci à Rome.
Nous vous remercions de votre
visite, car Nous apprécions votre action au service de la paix du monde
grâce à la prière, aux efforts d'éducation à la paix, à la réflexion sur
les principes fondamentaux qui doivent déterminer les rapports entre les
hommes. Pour que la paix, en effet, se réalise, sa nécessité doit être
profondément ressentie par la conscience, car elle nait d'une conception
fondamentalement spirituelle de l'humanité. Cet aspect religieux pousse
non seulement au pardon et à la réconciliation, mais aussi à
l'engagement pour favoriser l'amitié et la collaboration entre les
individus et les peuples.
Que Dieu qui aime tous les
hommes et qui a voulu être le Père de tous, vous aide dans cette oeuvre!
Ad un pellegrinaggio
nazionale dal Kenya
It is a special joy to have
the pilgrimage from Kenya, sponsored by the Consolata Fathers. My
prayerful greetings go back with you to all the members of your
families, to all your loved ones. God bless Kenya!
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