
«Mio Dio, amo con tutto il cuore sopra ogni cosa Voi, bene infinito e
nostra eterna felicità, e per amor Vostro amo il prossimo mio come me
stesso e perdono le offese ricevute. O Signore, ch'io Vi ami sempre
più». È una preghiera notissima intarsiata di frasi bibliche. Me l'ha
insegnata la mamma. La recito più volte al giorno anche adesso e cerco
di spiegarvela, parola per parola, come farebbe un catechista di
parrocchia. Siamo alla «terza lampada di santificazione» di Papa
Giovanni: la carità. Amo. A scuola di filosofia il professore mi
diceva: Tu conosci il campanile di San Marco? Sì? Ciò significa
ch'esso è entrato in qualche modo nella tua mente: fisicamente è rimasto
dov'era, ma nel tuo intimo esso ha impresso quasi un suo ritratto
intellettuale. Tu, invece, ami il campanile di S. Marco? Ciò
significa che quel ritratto, da dentro, ti spinge e ti inclina, quasi ti
porta, ti fa andare con l'animo verso il campanile ch'è fuori. Insomma:
amare significa viaggiare, correre con il cuore verso l'oggetto amato.
Dice l'imitazione di Cristo: chi ama « currit, volat, laetatur», corre,
vola e gode(1). Amare Dio è dunque un viaggiare col cuore verso Dio.
Viaggio bellissimo. Ragazzo, mi estasiavo nei viaggi descritti da Giulio
Verne («Ventimila leghe sotto i mari», « Dalla terra alla luna», «Il
giro del mondo in ottanta giorni», ecc.). Ma i viaggi dell'amore a Dio
sono molto più interessanti. Li si legge nella vita dei Santi. S.
Vincenzo de' Paoli, di cui celebriamo oggi la festa, per esempio, è un
gigante della carità: ha amato Dio come non si ama un padre e una madre,
è stato lui stesso un padre per prigionieri, malati, orfani e poveri. S.
Pietro Claver, consacrandosi tutto a Dio, firmava: Pietro, schiavo
dei negri per sempre. Il viaggio porta anche dei sacrifici, ma
questi non devono fermarci. Gesù è in croce: tu lo vuoi baciare? non
puoi fare a meno di piegarti sulla croce e lasciarti pungere da qualche
spina della corona, che è sul capo del Signore(2). Non puoi far la
figura del buon S. Pietro, che è stato bravo a gridare «Viva Gesù» sul
monte Tabor, dove c'era la gioia, ma non s'è neppure lasciato vedere
accanto a Gesù sul monte Calvario, dove c'era il rischio e il dolore(3).
L'amore a Dio è anche viaggio misterioso: io non parto cioè, se Dio non
prende prima l'iniziativa. «Nessuno - ha detto Gesù - può venire a me,
se non lo attira il Padre»(4). Si chiedeva S. Agostino: ma, allora, la
libertà umana? Dio, però, che ha voluto e costruito questa libertà, sa
Lui come rispettarla, pur portando i cuori al punto da Lui inteso: «parum
est voluntate, etiam voluptate traheris»; Dio non soltanto ti attira in
modo che tu stesso voglia, ma perfino in modo che tu gusti di essere
attirato(5). Con tutto il cuore. Sottolineo, qui, l'aggettivo
«tutto». Il totalitarismo, in politica è brutta cosa. In religione,
invece, un nostro totalitarismo nel confronto di Dio va benissimo. Sta
scritto: «Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta
l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano
fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai
seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e
quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno
come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua
casa e sulle tue porte»(6). Quel «tutto» ripetuto e piegato alla pratica
con tanta insistenza è davvero la bandiera del massimalismo cristiano.
Ed è giusto: è troppo grande Dio, troppo Egli merita da noi, perché gli
si possano gettare, come ad un povero Lazzaro, appena poche briciole del
nostro tempo e del nostro cuore. Egli è bene infinito e sarà nostra
felicità eterna: i denari, i piaceri, le fortune di questo mondo, al suo
confronto, sono appena frammenti di bene e momenti fugaci di felicità.
Non sarebbe saggio dare tanto di noi a queste cose e poco di noi a Gesù.
Sopra ogni cosa. Adesso si viene ad un confronto diretto tra Dio
e l'uomo, tra Dio e il mondo. Non sarebbe giusto dire: «O Dio o l'uomo».
Si devono amare «e Dio e l'uomo»; quest'ultimo, però, mai più di Dio o
contro Dio o alla pari di Dio. In altre parole: l'amore di Dio è bensì
prevalente, ma non esclusivo. La Bibbia dichiara Giacobbe santo(7) e
amato da Dio(8), lo mostra impegnato in sette anni di lavoro per
conquistarsi Rachele come moglie; «e gli parvero pochi giorni, quegli
anni, tanto era il suo amore per lei»(9). Francesco di Sales fa sopra
queste parole un commentino: «Giacobbe - scrive - ama Rachele con tutte
le sue forze, e con tutte le sue forze ama Dio; ma non per questo ama
Rachele come Dio né Dio come Rachele. Ama Dio come suo Dio sopra tutte
le cose e più di se stesso; ama Rachele come sua moglie sopra tutte le
altre donne e come se stesso. Ama Dio con amore assolutamente e
sovranamente sommo, e Rachele con sommo amore maritale; l'un amore non è
contrario all'altro perché quello di Rachele non viola i supremi
vantaggi dell'amore di Dio»(10). E per amor vostro amo il prossimo
mio. Siamo qui di fronte a due amori che sono «fratelli gemelli»e
inseparabili. Alcune persone è facile amarle; altre, è difficile; non ci
sono simpatiche, ci hanno offeso e fatto del male; soltanto se amo Dio
sul serio, arrivo ad amarle, in quanto figlie di Dio e perché questi me
lo domanda. Gesù ha anche fissato come amare il prossimo: non solo cioè
con il sentimento, ma coi fatti. Questo è il modo, disse. Vi chiederò:
Avevo fame nella persona dei miei fratelli più piccoli, mi avete dato da
mangiare? Mi avete visitato, quand'ero infermo?(11)
Il catechismo traduce queste ed altre parole della Bibbia nel doppio
elenco delle sette opere di misericordia corporali e sette spirituali.
L'elenco non è completo e bisognerebbe aggiornarlo. Fra gli affamati,
per esempio, oggi, non si tratta più soltanto di questo o quell'individuo;
ci sono popoli interi.
Tutti ricordiamo le grandi parole del papa Paolo VI: «I popoli della
fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. La
Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia e chiama ognuno a
rispondere con amore al proprio fratello»(12). A questo punto alla
carità si aggiunge la giustizia, perché - dice ancora Paolo VI - «la
proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e
assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che
supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario» (13). Di
conseguenza «ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo
intollerabile»(14).
Alla luce di queste forti espressioni si vede quanto - individui e
popoli - siamo ancora distanti dall'amare gli altri «come noi stessi»,
che è comando di Gesù.
Altro comando: perdono le offese ricevute. A questo perdono
pare quasi che il Signore dia precedenza sul culto: «Se dunque presenti
la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa
contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo
dono»(15).
Ultime parole della preghiera sono: Signore, ch'io vi ami sempre
più. Anche qui c'è obbedienza a un comando di Dio, che ha messo nel
nostro cuore la sete del progresso. Dalle palafitte, dalle caverne e
dalle prime capanne siamo passati alle case, ai palazzi, ai grattacieli;
dai viaggi a piedi, a schiena di mulo o di cammello, alle carrozze, ai
treni, agli aerei. E si desidera progredire ancora con mezzi sempre più
rapidi, raggiungendo mete sempre più lontane. Ma amare Dio - l'abbiamo
visto - è pure un viaggio: Dio lo vuole sempre piu intenso e perfetto.
Ha detto a tutti i suoi: « Voi siete la luce del mondo, il sale della
terra»(16); «siate perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste»(17).
Ciò significa: amare Dio non poco, ma tanto; non fermarsi al punto in
cui si è arrivati, ma col Suo aiuto, progredire nell'amore.
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(1) L'imitazione di
Cristo, 1.III, c. V, n. 4.
(2) Cfr. S. FRANCESCO DI
SALES, OEuvres, éd. Annecy, t. XXI, p. 153.
(3) Cfr. Ibid., t. XV, p.
140.
(4) Io. 6, 44.
(5) S. AUGUSTINI In Io.
Evang. tract., 26, 4.
(6) Deut. 6, 5-9.
(7) Dan. 3, 35.
(8) Mal. 1, 2; Rom. 9, 13.
(9) Gen. 29, 20. |
(10) S. FRANCESCO DE SALES,
OEuvres, éd. Annecy, t. V, p. 175.
(11) Cfr. Matth. 25, 34
ss.
(12) Populorum Progressio,
3.
(13) Ibid. 22.
(14) Ibid. 53.
(15) Matth. 5, 23-24.
(16) Matth. 5, 8.
(17) Ibid. 5, 48. |
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