Due pellegrini si arrampicavano su una strada impervia, mentre li
flagellava un vento gelido. La tormenta stava per scatenarsi. Raffiche
turbinanti di schegge di ghiaccio sibilavano fra le rocce. I due uomini
procedevano a fatica. Sapevano molto bene che se non avessero raggiunto
in tempo il rifugio sarebbero periti nella tempesta di neve.
Mentre con il cuore in gola per l'ansia e gli occhi quasi accecati dal
nevischio costeggiavano l'orlo di un abisso, udirono un gemito. Un
pover'uomo era caduto nella voragine e, incapace di muoversi, invocava
soccorso.
Uno dei due disse: «E' il destino. Quell'uomo è condannato a morte.
Acceleriamo il passo o faremo la sua fine». E si affrettò, tutto curvo
in avanti per opporsi alla forza del vento.
Il secondo invece si impietosì e cominciò a scendere per le pendici
scoscese. Trovò il ferito, se lo caricò sulle spalle e risalì
affannosamente sulla mulattiera.
Imbruniva. Il sentiero era sempre più oscuro.
Il pellegrino che portava il ferito sulle spalle era sudato e sfinito,
quando vide apparire le luci del rifugio. Incoraggiò il ferito a
resistere, ma all'improvviso inciampò in qualcosa steso di traverso sul
sentiero. Guardò e non poté reprimere l'orrore: ai suoi piedi era steso
il corpo del suo compagno di viaggio. Il freddo lo aveva ucciso.
Lui era sfuggito alla stessa sorte solo perché si era affaticato a
portare sulle spalle il poveretto che aveva salvato nel burrone. Il
corpo del ferito e lo sforzo avevano mantenuto il calore sufficiente per
salvargli la vita.
È meraviglioso quello che può fare anche il più semplice degli
abbracci. |