Il superbo re Casimiro decise di lasciare un segno della sua munificenza
elevando una cattedrale favolosa al centro della città. Perché il merito
della realizzazione fosse tutto e soltanto suo emanò un decreto per il
quale nessuno avrebbe potuto contribuire gratuitamente alla costruzione
sotto pena di morte.
«È opera mia e soltanto mia!» proclamava il re.
L'edificio si innalzò splendido e solenne. Gli operai del re lavoravano
a turni massacranti. E anche le bestie, buoi e cavalli, adibiti al
trasporto si accasciavano sfiancati. Il re fece scolpire una grande
lapide di marmo da collocare sulla facciata del duomo: «Elevato alla
gloria di Dio per opera di re Casimiro». La lapide fu murata sotto il
rosone.
Il giorno della consacrazione della cattedrale, il re arrivò in testa al
corteo dei dignitari. Un drappo di seta copriva la lapide. Quando la
piazza fu piena di gente festante, davanti al cardinale e al capitolo
dei canonici schierati e pronti a benedire, il re fece cenno di togliere
il velo della lapide.
Un sussurro di meraviglia percorse la folla, mentre il re diventava
livido. Sulla lapide si leggeva a grandi caratteri d'oro: «Elevato alla
gloria di Dio per opera di re Casimiro e di Teresa».
Furibondo, il re cercò di far cancellare il nome intruso. Ogni mattina
ricompariva. Diede ordine di trovare quella Teresa. Gli portarono
davanti una donna dagli abiti modesti che tremando, confessò che una
sera, tornando dai campi, aveva visto i cavalli e i buoi stremati e, di
nascosto, aveva dato loro un po' di fieno.
Il re Casimiro capì che il suo desiderio era folle e superbo. Il Signore
stesso aveva scritto sulla lapide il nome della umile donna dal gran
cuore. E quel nome è là ancora oggi, dopo mille anni.
«Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio, perché Dio offre a
loro il suo regno» (Matteo 5,3). |