domenica  9 aprile 2017
 

PAPA SOTTO IL LETTO

 

 Quando ero piccola un padre era per me come la luce nel frigo­rifero. Ogni casa ne aveva uno, ma nessuno sapeva realmente cosa facevano sia l'uno che l'altro, dopo che la porta era stata chiusa.

Mio padre usciva di casa ogni mattina e ogni sera, quando tor­nava, sembrava felice di rivederci. Lui solo era capace di aprire il va­setto dei sottaceti, quando gli altri non riuscivano. Era l'unico che non aveva paura di andare in cantina da solo. Si tagliava facendosi la barba, ma nessuno gli dava il bacino o si impressionava per questo. Quando pioveva, ovviamente, era lui che andava a prendere la mac­china e la portava davanti all'ingresso. Se qualcuno era ammalato, lui usciva a comperare le medicine. Metteva le trappole per i topi, 1 potava le rose in modo che ci si potesse affacciare alla porta d'in­gresso

 senza rischiare di pungersi. Quando mi regalarono la mia prima bicicletta, pedalò per chilometri accanto a me, finché non fui in grado di cavarmela da sola. Avevo paura di tutti gli altri padri, ma non del mio. Una volta gli preparai il tè. Era solo acqua zucche­rata, ma lui era seduto su una seggiolina e lo sorbiva dicendo che era squisito.

Ogni volta che giocavo con le bambole, la bambola mamma ave­va un sacco di cose da fare. Non sapevo invece che cosa far fare alla bambola papà, così gli facevo dire: «Bene, adesso esco e vado a la­vorare», poi la buttavo sotto il letto.

Quando avevo nove anni, un mattino mio padre non si alzò per andare a lavorare. Andò all'ospedale e morì il giorno dopo. Allora andai in camera mia e cercai la bambola papà sotto il letto. La trovai, la spolverai e la posai sul mio letto.

Mio padre non fece mai nulla. Non immaginavo che la sua scom­parsa mi avrebbe fatto tanto male. Ancora oggi non so perché (Erma Bombek).

 

Una signora confidò: «È qualche anno che è morto mio padre e an­cora sento fortemente il rimorso di non avergli mai detto: "Papà, ti vo­glio bene"».

 
 
 

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