Un Beato Angelico tolto dalla cassaforte, torna allo sguardo dei fedeli a Belluno

 venerdì 26 marzo 2004  - Giovanni Gazzaneo

 Apriamo le porte alla bellezza

 Dal caveau del Museo Fattori di Livorno alla chiesa di San Rocco a Belluno. Questo il percorso del «Redentore» del Beato Angelico, che la diocesi di Belluno-Feltre ha avuto in prestito ed esporrà per dieci giorni, offrendolo alla visione dei fedeli. Un percorso che restituisce quella piccola e meravigliosa tavola dipinta nel 1450 alla sua ragione originaria: la contemplazione del vero attraverso il linguaggio della bellezza. Questo peraltro è lo stigma specifico della grande arte cristiana. Lo ricordava Paolo VI ai maestri del nostro tempo: «La vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parole, di colori, di forme... E voi sapete conservare a questo mondo la sua ineffabilità, il senso della trascendenza, il suo alone di mistero».

Il grande merito dell'iniziativa promossa a Belluno dal vescovo Vincenzo Savio è di aver "sottratto" quel «Redentore» al dorato sepolcro di una cassaforte, ma anche all'approccio puramente storico ed estetico di una «visione da museo», per riannodare il legame tra un'opera d'arte e un popolo orante.

Così il nostro sguardo tornerà a farsi catturare dallo sguardo di quel Cristo segnato dalla Passione, che ci fissa con straordinaria espressività. Sapremo allora chiedere perdono o dire semplicemente grazie, nel silenzio di una contemplazione che si fa dialogo del cuore. L'evento bellunese, dunque, come modo originale di riproporre (e forse riscoprire) il grande fascino della bellezza, di cui la Chiesa custodisce il più grande patrimonio generato dall'umanità. Perché preservare non basta, bisogna saper valorizzare, bisogna saper comunicare. L'uomo d'oggi in qualcosa somiglia all'uomo del Medioevo: la sua è una cultura visiva, l'immagine è predominante (anche se quest'immagine è spesso «spazzatura»: spot, reality show, videogames, ecc.).

Ma l'uomo d'oggi differisce profondamente dall'uomo del Medioevo perché il suo orizzonte e i suoi principi non sono più sorgivamente cristiani. Il neo paganesimo non fa solo "tendenza", permea il sentire comune. La riscoperta della grande arte cristiana può allora aprire una nuova stagione di evangelizzazione. A partire dalla lezione di Agostino, antica ma sempre vera: «Non possumus amare nisi pulchra», possiamo amare soltanto ciò che è bello. E la bellezza riesce a toccare quelle corde dell'animo umano che restano impermeabili ad un puro, anche se fondato, ragionamento. Il bello attrae, affascina, emoziona, rompe gli schemi dettati dall'ossessione dell'utile, dall'ansia del fare, dall'equivalenza tempo-denaro. Entrano in campo gratuità e contemplazione, viene data espressione all'«inesprimibile» (il linguaggio simbolico è sempre linguaggio dell'«oltre»).

Non si tratta dunque di un puro fatto estetico, è una bellezza che non può prescindere dall'Incarnazione, che porta in sé il dolore e la gloria. C'è un legame tra bellezza e verità come c'è tra bellezza e salvezza, tra creatività e creazione (lo scrittore bolscevico Maksim Gor'kij ne era a tal punto consapevole da esprimere tutto il suo odio per la «creatività» perché «sapeva di chiesa»). 

Scriveva il teologo Urs von Balthasar: «Soltanto chi ama la rivelazione dell'infinito nella forma finita è non soltanto un mistico ma anche un estetico». È questo il bello (e il vero) dell'arte. Ciò incoraggi la Chiesa non solo ad essere vigile sulle opere di ieri, ma a tornare propositrice, ispiratrice di nuove vie alla bellezza, con lungimiranza e coraggio.

 

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