Discernere secondo la volontà del Signore

Lettera pastorale del vescovo Vincenzo Savio alla diocesi di Belluno-Feltre


 

[inizo lettera pastorale]

[preghiera per il Sinodo]

[preghiera allo Santo Spitiro]

[terza parte]

[seconda parte]

[prima parte]

L’incontro del Risorto

con Maria di Magdala

 

«Rabbunì! Maestro!»

 1 Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

[...]

11 Maria stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 15 Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». 16 Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro!

Gv 20,1-3; 11-16

 

«Teologi e predicatori consumeranno fiumi di inchiostro e migliaia di parole per dire quello che Maria Maddalena professò in una sola parola il mattino di Pasqua: “Rabbunì!”».

Una frase di questo tono è attribuita a un antico scrittore del secolo III; nonostante i dubbi sulla sua autenticità, mi piace evocarla perché conduce al centro della fede cristiana, della vita della Chiesa intera e della nostra Chiesa di Belluno-Feltre.

Per far vivere la Chiesa, non bastano i discorsi, gli incontri e le riunioni; non bastano le iniziative, che quotidianamente, a volte con generosa o eroica costanza, si portano avanti nelle nostre comunità; non basta ricordare i fasti di un passato che qualcuno immagina più roseo; non bastano lo splendore delle grandi celebrazioni né la fedeltà alla sobria liturgia quotidiana. Non possiamo nemmeno accontentarci degli sforzi di carità, di promozione umana, di attenzione ai poveri, cose che pure gli uomini d’oggi apprezzano e riconoscono...

Non basta tutto ciò, se alla radice di questa vita non c’è la certezza che Gesù è risorto ed è vivo nel cuore della Chiesa. Potrei «parlare le lingue degli angeli...», versare fiumi di inchiostro per raccontare la vicenda di Cristo; potrei anche distribuire tutte le mie ricchezze e anche dare il mio corpo per gli altri (cfr. 1Cor 13,1.3). Se per me quel Gesù non è vivo, non mi serve a nulla.

 

Maria Maddalena lo ha riconosciuto vivo, prima credente nella storia della Chiesa a fare questa basilare esperienza. Pertanto oggi vorrei mettermi sulle orme della sua avventura, invitando con me, passo dopo passo, questa Chiesa di cui sono pastore; nella figura di questa donna – misteriosa e suggestiva – vorrei far oggi specchiare la mia diocesi, la Chiesa di Belluno-Feltre.

Anche se sui trascorsi di Maria Maddalena e sul suo affetto per Gesù ai romanzieri è piaciuto ricamare con gli aghi della fantasia, mi accontento della sobrietà dei Vangeli: ci è detto soltanto – con una frase pure avvolta dal mistero – che il Signore aveva cacciato da lei sette demoni (Mc 16,9; Lc 8,2). Forse la vita le aveva riservato sofferenze psicologiche oppure era uscita con le ossa rotte da qualche avventura sentimentale. Poi l’incontro con il Nazareno, che nell’oppressione di quel buio accese una luce.

Sorvolando su tutti i ricami della fantasia, mi soffermo con commozione a osservare Maria Maddalena che segue discretamente il Maestro fin sul Calvario ai piedi della croce, fin sulla soglia del sepolcro, testimone della sua morte e della sepoltura. Chissà cosa sentiva nell’animo Maria nel crepuscolo di quel venerdì santo! Nelle case di Gerusalemme fervevano i preparativi della cena pasquale; ma Maria aveva negli occhi soltanto il volto sfigurato e il corpo martoriato del maestro... Le saranno passati nella mente gli ultimi spasmi di quell’uomo che le aveva dato speranza e fiducia. In quella sera d’aprile, forse il 7 aprile del 30, la speranza era stata calpestata sulla nuda roccia del Golgota dai calzari dei romani e dagli insulti dei capi religiosi del popolo.

I quali intanto, quella sera, avrebbero celebrato la pasqua, gustando assieme al pane azzimo la loro tragica vittoria sul predicatore di Nazareth. Quella sera nelle case di Gerusalemme si mangiava l’agnello della pasqua e si tingevano del suo sangue gli stipiti delle porte, ignari che un altro Agnello era stato quel giorno immolato, per consacrare le “porte” del cuore di chi crede in lui.

 

«Era ancora buio»

 Passato il sabato, Maria andò al sepolcro, di buon mattino, quand’era ancora buio. Il buio negli occhi, il buio nel cuore, il buio nella vita. Gesù aveva cacciato dal suo cuore i sette demoni: la tristezza, l’ansia, la fatica di vivere; forse anche il rimorso di errori passati; o forse altro. Ma Gesù era stato ucciso...

E oggi anche a noi pare di vivere nel buio. Innanzitutto il buio di questo tratto di storia che stiamo percorrendo. È vero che ogni generazione ha pianto sui suoi giorni, ma è anche vero che negli ultimi decenni la storia dell’umanità ci è parsa sempre più segnata da episodi di violenza inaudita, da un allargamento del fossato tra poveri e ricchi, da crescenti tensioni internazionali che ci lasciano angosciati. E il riferimento non va soltanto alle note vicende che hanno insanguinato e ancora insanguinano il Medio Oriente.

Ci pare buio anche il clima che viviamo nella nostra patria, sulla quale vediamo aggirarsi litigiosità sociali e politiche, soprusi e ingiustizie, la sconsolata fatica di chi ha redditi bassi; e anche la difficoltà oggettiva di trovare soluzioni a queste tensioni.

E infine nel cielo della nostra terra scorgiamo nubi di oscurità che non ci lasciano indifferenti: il tasso di suicidi, le fughe nell’alcoolismo e nella droga, l’industrializzazione con i suoi pro e i suoi contro, la fuga dalla cultura, l’instabilità dei legami familiari, la disaffezione dall’impegno nella politica o nella vita sociale, il disagio di tanti nostri fratelli.

In questa situazione vive la nostra Chiesa, spesso incapace di dare risposte o suggerire efficacemente il “buon annuncio”, il Vangelo. Sì, perché anche nel cuore della nostra Chiesa ci sono fragilità e sofferenze, proprio come nel cuore della Maddalena: alcune le sappiamo ben riconoscere; altre ci vengono spesso rimproverate; altre ci sono state ancora evidenziate dai gruppi sinodali.

Io vescovo, insieme ai miei fratelli preti, avverto come queste fragilità vengano spesso addebitate in modo particolare a noi pastori. A volte siamo visti lontani dai reali problemi della gente, a volte siamo stati e siamo incapaci di rispondere a tante attese. Altre volte questi debiti sono imputati all’intera comunità cristiana, la cui testimonianza di fede, di carità, di unità non è sempre così limpida.

Non potremo restare indifferenti di fronte a quanto ci ha detto e ci dice la gente di questa terra: il Vangelo affidato alla povertà degli uomini di Chiesa – preti e laici – è effettivamente un tesoro in vasi di creta (2Cor 4,7). Però è un tesoro che ha una forza interna che cercheremo di riscoprire.

 

«Donna, perché piangi?»

Per due volte Maria si sente rivolgere questa domanda: prima dagli angeli, poi dal misterioso “giardiniere”.

E tu, Chiesa di Belluno-Feltre, perché piangi?

Ci guardiamo le mani e ci spiace vedere innanzitutto le rughe già accennate: il Signore, affidandoci il Vangelo, sapeva di mettere il suo tesoro in vasi di creta. Ma nel primo anno del cammino sinodale abbiamo teso l’orecchio per cogliere anche le domande che si levano da tante case della nostra diocesi.

Abbiamo avvertito soprattutto gemiti di dolore: tante sofferenze fisiche, vissute con fatica o con eroismo; ma soprattutto moltissime sofferenze morali, sussurrate o gridate agli orecchi della nostra Chiesa.

Abbiamo ascoltato la delusione di chi si è visto fallire la vita tra le mani; di chi è stato abbandonato dal coniuge o tradito dagli amici; di chi ha subito umiliazioni sul lavoro o in avventure economiche; di chi è stato insultato o calunniato nei cicalecci dei nostri paesi. Oppure la delusione di tanti genitori di fronte alle scelte di figli che avevano allevato con ogni sforzo. E ancora il rancore di chi, a causa delle vicende della vita, non riesce a vedere in Dio il volto del Padre. Oppure la voce di tanti animi straziati da odi e rancori, vecchi e recenti, che covano tra le nostre famiglie, per un pugno di terra, per quattro soldi, per questioni ereditarie, per incomprensioni.

Di fronte a queste grida la nostra Chiesa vorrebbe innanzitutto farsi sim-patica, capace cioè di patire insieme, di stare dentro a queste sofferenze; talvolta in un silenzio che non è tanto imbarazzato, quanto rispettoso. Eppure anche questa sim-patia non mi basta...

 

«Hanno portato via il mio Signore»

 ...non mi basta, perché la Chiesa non può non notare che il vero male è «che hanno portato via il mio Signore». Quel sepolcro inopinatamente vuoto è l’icona più suggestiva della nostra situazione attuale: ci manca qualcosa, ci manca Qualcuno.

Se colta in tutta la sua serietà, questa suggestione è come un raggio di sole che rompe il buio al mattino. E questo è il compito della nostra Chiesa per il prossimo anno: dopo aver ascoltato la voce degli uomini e delle donne della nostra terra, dovremo cercare il Maestro.

Proprio come Maria Maddalena. Di fronte al sepolcro nuovo e vuoto se ne stette attonita, con le guance rigate dalle lacrime; quella nuova tristezza si aggiungeva al lutto di due giorni prima, tanto da non avvertire la presenza dei due angeli e del Maestro stesso, scambiato per un giardiniere: «Se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo...». Quanto è ingenua questa presunzione di poter afferrare il Signore e custodirlo nel sepolcro! Ma quanto è sincero il suo desiderio di trovarlo!

Come Maria, anche noi dovremo voltarci e cercare ancora, aspettandoci qualche sorpresa da quel Cristo ancora presente nella storia, se pur talvolta in forme che non riconosciamo facilmente, con indicazioni che non sempre sono immediate. Proprio come quel mattino, quando si lasciò scambiare per un giardiniere.

 

«Rabbunì»

 «Dic nobis, Maria, quid vidisti in via? Raccontaci, Maria, che cosa hai visto sulla via?». È l’antica domanda che la sequenza di Pasqua rivolge alla Maddalena.

La sua risposta sembra quasi contraddittoria: «sepulcrum Christi viventis...», ho visto il sepolcro di uno che è vivo.

E allora noi non ci rassegniamo al buio di questi tempi, perché c’è ancora e sempre una speranza da raccontare alla nostra terra, c’è ancora una speranza da comunicare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle.

L’importante è voltarsi e cercare il Maestro. È questo il prossimo tratto di strada: cercare il Maestro.

Per sentirsi chiamare per nome e riconoscerlo vivo nella nostra storia.

«Maria!».

«Rabbunì!».

 

Prima parte

[inizo lettera pastorale]

[preghiera per il Sinodo]

[preghiera allo Santo Spitiro]

[terza parte]

[seconda parte]

[prima parte]

Tratto di cammino fatto nella prima fase del “vedere”

 

«MARIA!»

 In questo appello diretto del giardiniere,

a lei che piange la scomparsa

del corpo del Maestro amato,

la Maddalena sente risvegliarsi la certezza

che la sua vita, con tutte le sue sventure e ideali,

sono presenti nel cuore del Risorto.

Anche la nostra comunità diocesana,

in questa prima parte della lettera,

vuole risentire in sé

quanto con il Signore ha vissuto

nella sua prima tappa del Cammino Sinodale:

ciò che ha sognato e ha temuto;

quanto ha intravisto di grande o ha realizzato:

la sua breve, generosa sequenza di un anno

per riconoscere insieme la volontà

che il suo Signore ha pensato proprio per lei.

  

1.   Come in montagna

 Nella precedente lettera pastorale abbiamo abbondantemente utilizzato l’immagine della montagna, il cammino nei sentieri montani, per presentare il nostro impegno con il Sinodo diocesano.

La montagna è un po’ il nostro universo e ci è più facile comprendere i messaggi che essa ci dona. Per questa ragione continuerò a spiegare alcune cose utilizzando le dinamiche di una vita che conosciamo bene.

Abbiamo fatto un tratto di strada non indifferente. Abbiamo percorso a volte tratti familiari, e a volte passaggi assolutamente nuovi che ci hanno immesso alla contemplazione di panorami inediti, se non addirittura sorprendenti. Non tutto è sempre andato liscio: cose difficili si sono messe fra mezzo, ma ci pare proprio che il Signore, nelle prove come nei risultati, sia stato sempre vicino a noi.

Ora che ci troviamo ad una quota più elevata ripercorriamo nei suoi punti essenziali il tratto fatto.

Ricorderò solo alcuni passaggi, quelli di carattere generale che riguardano tutti. Ma tanti racconti li conoscete voi per la vostra esperienza personale, per come li avete vissuti nella vostra comunità familiare, e per quanto potrete raccontarvi incontrandovi insieme nella parrocchia, nella comunità religiosa o negli incontri di associazioni e movimenti.

È un momento di sosta per verificare se ci siamo tutti, se ci sono stanchezze cui prestare attenzione perché nessuno resti in dietro. Non è male rileggere la cartina altimetrica che ci incoraggia a proseguire oltre e a sentire la gioia di un tratto fatto con entusiasmo. Sarà opportuno controllare se e quanto di cibo portiamo con noi e quante borracce occorre riempire presso la fonte attorno a cui abbiamo sostato.

 

2.   Alcuni imprevisti

 Quando abbiamo indicato le tappe del tempo del “vedere” nessuno poteva prevedere quali sarebbero stati gli avvenimenti con cui avremmo dovuto fare i conti e che avrebbero, conseguentemente, condizionato il cammino. Eravamo certi, ancor più ora, che il nostro cammino è nello Spirito del Signore. Lui ci accompagna e rende vera ogni nostra scelta.

Non era nel nostro conto la drammatica fibrillazione del mondo attorno alla scelta di una guerra contro l’Iraq e contro il terrorismo. Non era prevedibile che mezzo anno sarebbe stato concentrato su questo dramma che ha impegnato la Chiesa e le nostre comunità con tanta responsabilità. Se è stato un momento di più alta crescita della coscienza di ricerca della pace per tutta l’umanità, non possiamo nascondere che questa avventura ha scompaginato il confronto anche nel mondo cristiano: ancora una volta ci domandiamo quanto la radicalità evangelica, così seriamente testimoniata anzitutto dal Santo Padre, di fatto guadagna il posto di priorità nella nostra coscienza superando quelle che sono le ragioni della propria reazione istintiva o della particolare appartenenza partitica.

Come non stava nel nostro conto la seria minaccia alla salute del Vescovo, evidenziatasi proprio mentre si stava avviando il lavoro insieme nei gruppi sinodali. Nonostante la sua assenza abbiamo potuto constatare la maturità e la capacità delle nostre comunità di restare fedeli alle scelte indicate dalla segreteria.

 

3.   Mete intraviste e prime scelte coraggiose fatte

 Ricordiamo che il “cammino sinodale” è stato pensato sia come momento proprio per celebrare il primo Sinodo diocesano dopo il Concilio Vaticano II, sia come momento pedagogico per educarci a diventare sempre più esperti per crescere come Chiesa di comunione.

Abbiamo per questo cercato un metodo sufficientemente sperimentato nella Chiesa e capace di rispettare la tipicità della nostra storia di fede. Ci siamo confrontati tra di noi e con altre realtà simili alla nostra. Non abbiamo temuto di far nostre scelte vissute felicemente altrove ma che bene si potevano adattare al nostro ambiente e alla storia che sta davanti a noi. Qualche volta abbiamo deciso qualche passo nuovo: temevamo che non ne saremmo stati capaci, mentre abbiamo capito che a volte siamo noi che non osiamo più che essere scelte non congeniali al nostro temperamento.

Voglio, brevemente, riparlarne per convincerci che ci è lecito, anzi doveroso “osare di più” per il Signore.

 

La cosa che assume evidenza chiara è aver dato la parola a tutti. Non è stata privilegiata la scelta di interpellare gli specialisti, ma la gente. Perché non resti nessun tipo di dubbio in noi, questa decisione è maturata in una precisa visione della Chiesa come “famiglia di Dio”, “popolo di Dio”, credibile solo se capace di realizzare la “comunione” di tutte le sue componenti cui ci ha assolutamente richiamato il Concilio Vaticano II. Non una sorta di vago populismo o di moda parlamentaristica ma la coscienza di essere stati costituiti nel battesimo un unico popolo sacerdotale. Anzi con un passaggio in più che ho con forza sottolineato nella prima lettera pastorale “Se tu mi ascoltassi...” quando con precisi richiami al testo biblico e alla storia della salvezza abbiamo compreso che Dio ci parla attraverso avvenimenti storici, persone che ancora non hanno fatto la scelta della Comunità del Signore...

Il merito di una risposta significativa in questa direzione lo si deve alla convinta esperienza vissuta in preparazione all’Anno Santo 2000, con i gruppi che si erano costituiti e con lo stile scelto per la grande Missione diocesana.

Non posso tralasciare di manifestare la mia gioia, che è anche di tanti altri, nell’aver constatato accanto all’impegno di nostri sacerdoti un vigoroso, deciso, intelligente coinvolgimento di laici nel dare consistenza a questo momento che dovrebbe diventare un diffuso modo di vivere l’annuncio e il confronto nella fede per il futuro che ci sta di fronte.

Tutto questo ci ha portato a non temere di incontrarci insieme nel Signore e metterci in discussione per cercare senza false coperture la nostra disponibilità ad essere cristiani sempre più capaci di radicalità evangelica: scendere alla radice della nostra sequela del Signore ed essere fedeli al Vangelo in tutte le scelte della vita.

Lungo questo primo tratto di strada sono spuntati o si sono rafforzati significativi appuntamenti di preghiera, proposte di adorazione eucaristica, momenti di ritiro spirituale.

Ho ammirato la capacità di tutte le parrocchie, con i loro sacerdoti, di realizzare quei rilevamenti statistici e qualitativi che erano inusuali nel nostro ambiente. Colgo qui l’occasione per ricordare che, senza esagerare e senza dare significati fuori misura, nel fare il rilevamento dei partecipanti alle Eucaristie domenicali e nell’indagine socio-religiosa a campione, ho cercato di rispettare indicazioni precise del Concilio Vaticano: “Per essere in grado di meglio provvedere al bene dei fedeli, secondo il bisogno di ciascuno, (i vescovi) si adoperino di conoscere a fondo le loro necessità nelle condizioni sociali in cui vivono, ricorrendo, a tale scopo, a tutti i mezzi opportuni e specialmente alle indagini sociali...” (CD 16). “Le forme di apostolato devono essere convenientemente adattate alle necessità dei nostri giorni, tenendo presenti le varie esigenze degli uomini: non solo spirituali e morali, ma anche quelle sociali, demografiche ed economiche. E per raggiungere efficacemente (efficaciter) e utilmente (fructuose) tale scopo, si potrà trarre un notevolissimo vantaggio dalle indagini socio-religiose... che sono da raccomandare con ogni premura.” (CD 17).

Molti sottolineano il particolare clima spirituale che nel Signore è cresciuto in questi mesi nella nostra comunità diocesana. La malattia improvvisa e seria del Vescovo ha collocato il suo esercizio ministeriale sotto una luce e con dinamiche nuove, imprevedibili. L’affetto della nostra gente sempre così restio a manifestarsi ha offerto un sostegno visibile al tanto profondo e robusto amore che sta nel cuore di tutti: credenti e no. Gli ammalati si sono sentiti investiti di una visione più serena della loro sofferenza sapendo che il loro pastore è con loro, uno di loro, orante e in speranza come ognuno di loro. In particolare i presbiteri si sono stretti attorno al vescovo con tanta attenzione, delicatezza e affettuosa tenerezza. Il Signore visitandoci ha come immesso un soffio nuovo di grazia e di speranza.

 

4.   Fragilità emerse

 Nel ricordare questi grandi doni non posso tralasciare di evidenziare alcuni aspetti deboli che si intrecciano ai bei momenti positivi.

Puntavo molto su un coraggioso uscire dalle aree sicure delle persone già coinvolte per vivere l’incontro-confronto con tanti che abbiamo chiamato della soglia o della non appartenenza alla Chiesa, con le realtà non ecclesiali come il mondo del lavoro e della pubblica amministrazione, con le grandi esperienze di solidarietà umana e di volontariato. Ci sono state lodevoli esperienze come l’incontro con i sindaci dell’Alpago, con alcuni politici del Feltrino, il coinvolgimento ampio in alcune scuole superiori, nel mondo ospedaliero, in alcuni caseggiati... Ma mi pare di poter dire che siamo stati timidi (un modo riservato del nostro mondo montano) o forse poco coraggiosi (la sensazione che non avrebbero risposto positivamente).

Anche nella formazione numerica di opportunità di gruppi a fronte di parrocchie coinvolgenti a volte si è fatto la scelta di non moltiplicare i denari di grazia che il Signore ha messo nel cuore delle nostre comunità.

 

5.   Atteggiamenti ecclesiali in via di consolidamento

 Doni di grazia seminati da questa esperienza accolta e sostenuta con passione, chiedono di essere rafforzati. I doni passano così da essere atti generosi ed eccezionali a virtù, atti cioè maturi e permanenti nella comunità e nella persona, solo quando diventano atti abituali, atteggiamenti duraturi capaci di emergere velocemente ogni volta che le situazioni richiedano la loro risposta.

Mi pare che siano da rafforzare:

a)   La “Sinodalità”: una Chiesa che impara a non far cadere dall’alto, da una o da poche persone le scelte importanti che la riguardano nella vita quotidiana di fede e di fraternità. Che riesce a tendere sempre, anche attraverso strumenti di comunicazione e strutture agili di partecipazione, verso una più profonda comunione. Apprezzo, là dove c’è stato, l’impegno a istituire o rafforzare gli organismi di partecipazione come il Consiglio Sinodale o Pastorale.

b)   Individuare o rafforzare meglio nuovi luoghi pastorali: gruppi di ascolto legati al territorio o al posto di lavoro; coinvolgimento di quanti vivono sulla soglia...

c)   Riconoscere e servire la domanda di crescita nella cultura della fede per categorie professionali e di vita.

d)   Leggere attentamente la situazione per superare preconcetti che disattendono gli spazi nuovi di presenza pastorale: ad esempio il rilevamento dei domenicali ha evidenziato che l’impegno operativo nella comunità non è solo o prevalentemente “donna”; che la percentuale delle presenze nella eucaristia domenicale di gente in situazione di “irregolarità” è consistente...

 

Confessio

 “Gratia perficit naturam”, la Grazia porta a perfezione ciò che per natura è debole.

 

La Grazia che è Dio-Trinità libero di agire

nella nostra vita, conduce con sicurezza la nostra persona verso la pienezza della figliolanza divina.

Già altre volte mi è capitato di sentire questa verità.

O forse no. Mai.

L’ho riconosciuta talora nell’invito del sacerdote

a lavorarmi dentro per vincere difetti, debolezze, situazioni di peccato. Qualcuno mi ha detto

tutto questo con il nome di “ascesi”.

 

Ma essa è molto di più.

Mi annuncia quello spazio di amore divino

che avvolge la mia vita e tutta la trasforma.

Mi parla di quella corrispondenza del cuore

che si abbandona al suo Dio

e tutto si lascia in esso identificare.

Solo di una cosa il nostro intimo sospira: essere tutto

in Lui. Solo in Lui. Come Lui sarebbe se Egli

occupasse questo posto che nella storia, nella famiglia, nella Chiesa e nella comunità civile è mio.

Se lo contemplo me ne innamoro.

Se lo trascuro lo tradisco.

 

Lo sconfiggo in tanti modi

che non sono difficili da giustificare.

Mi sarà facile non solo scusare il tradimento

ma addirittura lo rivestirò di falsa verità.

Questo avverrà ogni volta che affermerò che la legge delle tradizioni, nate tutte come desiderio di vivere meglio il Vangelo, ma alcune col tempo superate, deve prevalere sulla radicalità del Vangelo; quando le usanze, soprattutto religiose, mi serviranno per scusare la pigrizia nel ricercare la dura fedeltà alla sostanza della fede: e questo mi garantirà il luccichio della esibizione

di ruoli e di momenti del mio agire nel mondo

e nella Chiesa contrari alla coerenza della fede.

Con inganno egli presenterà il volto convincente

del “buon senso” per mettere in contrasto o in ridicolo

la scelta coraggiosa e profetica.

 

Maria di Nazaret, prima credente, modello

di ogni comunità e di ogni vero discepolo del Signore,

guardo a Te per essere in Te illuminato.

Tu per dire la tua risposta a Dio non hai chiamato

in aiuto né la legge di natura, che anela alla profonda comunione dello spirito e della carne di uomo e donna, né il diritto di proseguire un amore

già cresciuto e rafforzato il cui abbandono avrebbe sbilanciato esistenzialmente il fidanzato Giuseppe.

 

Non ha prevalso su di te il calcolo di una brutta fama che, scegliendo la proposta di Dio, ti avrebbe accompagnato per tutta la vita e avrebbe segnato anche l’esistenza della creatura che avrebbe incominciato a vivere in te al di fuori della norma intangibile del matrimonio: Tu saresti per sempre rimasta

la ragazza dai facili costumi, la falsa modesta fanciulla

di cui tutti si erano ingannati, la spudorata.

E Gesù il figlio senza paternità,

frutto di debolezza e di peccato.

Tutto questo non ha prevalso in Te: né leggi,

né tradizioni, non il buon nome né la tranquillità

di fronte a quello che Dio

e la felicità della storia umana invocava.

Nella tua vita il progetto di Dio è stato più forte in te di ogni legge e tradizione di uomini.

 

Seconda parte

[inizo lettera pastorale]

[preghiera per il Sinodo]

[preghiera allo Santo Spitiro]

[terza parte]

[seconda parte]

[prima parte]

“Discernere” insieme per accogliere il progetto di Dio

 

 “Rabbunì!”

 L’esclamazione di Maria di Magdala

al finto giardiniere e vero maestro

che trionfa sulla morte,

è il riconoscimento della verità nuova

che si è risvegliata in lei

sull’onda della voce del Redentore.

Ella non si riconosce più solo

come la peccatrice “accolta”.

Ma la salvata.

La Inviata ad annunciare al mondo

degli uomini di ogni tempo il progetto di Dio.

Tutto le torna chiaro: ogni parola

precedentemente raccolta dalle labbra di Gesù

si illumina di un significato nuovo, pieno di senso.

Riesce a vedere in profondità

il cammino da compiere.

Inizia la vera vita della credente

con la comunità-seme dei nuovi credenti.

Immagine luminosa della Chiesa

che abiterà, fino alla fine dei tempi, il mondo.

Profezia della nostra chiesa diocesana

conquistata dal Cristo

e in religioso ascolto di ogni sua parola.

 

 1.   Il discernimento in comune

 Dobbiamo ora riprendere il cammino. La sosta ci ha aiutato a scegliere il sentiero migliore. Per raggiungere la meta occorre che rafforziamo gli strumenti a disposizione. Per poter rendere sicura la nostra scelta dobbiamo imparare a perfezionare il nostro passo. Entriamo nel vivo del nuovo passaggio: saper discernere in ciò che abbiamo visto quello che è giusto scegliere per giungere alla meta.

 

Vorremmo sollevare il velo che copre il volto della donna misteriosa, arrivata vicino al sepolcro, di buon mattino.

Una sorpresa: è la Chiesa!

In ogni tempo infatti la Chiesa va alla ricerca del suo Signore. È mossa dall’amore trepido che teme di averlo perso e soffre per lo smarrimento; vive della speranza nascosta in una novità che non riesce ad immaginare; è chiamata ad un appuntamento di fede, dove riconoscere il Maestro, vivo e operante oggi.

 

Questo movimento che si rinnova in ogni epoca, riceve il nome di “discernimento” e più precisamente di “discernimento comunitario o ecclesiale”.

Il termine, suggerito da Paolo alla comunità di Roma – “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2) – ha ricevuto dallo stesso apostolo alcune fondamentali specificazioni.

“Cercate ciò che è gradito al Signore” (Ef 5,10).

“Prego perché la vostra carità si arricchisca sempre di più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio” (Fil 1,9-10).

“Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21).

“Tu conosci la sua (di Dio) volontà e sai discernere ciò che è meglio” (Rm 12,8).

Accoglieremo allora questa parola di chiara derivazione biblica. Essa ci indirizza ad una serie di verbi ben caratterizzati: “distinguere, riconoscere, saper giudicare; mettere alla prova, saggiare, verificare, vagliare”. Non andremo certo verso una nuova moda, ma resteremo fedeli ad un impegno che è stato formulato con forza da Gesù stesso: “Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?” (Lc 12,56).

Il nostro tempo è tempo di complessità, anche di confusione e di oscurità. Sono situazioni non nuove nel cammino della Chiesa e nella storia del mondo. C’è chi invoca subito leggi da seguire, norme chiare, punti di riferimento precisi. Se rispondessimo subito a tali richieste avremmo solo animali un po’ più addestrati!

Per essere cristiani maturi che sentono, giudicano e scelgono nello Spirito, si apre davanti a noi la strada lunga del discernimento. All’inizio non si noteranno differenze; occorrerà adattare l’occhio, formarlo, renderlo capace di percezione attenta. Ci preme distinguere il piano di Dio e imparare a percepire la voce dello Spirito che ci chiama nella libertà.

 

2.   Cosa è il discernimento

 Tra le tante descrizioni del discernimento proposte negli ultimi anni, mantiene vera freschezza quanto hanno scritto i Vescovi italiani, preparando la comunità nazionale al Convegno di Loreto (1985):

“Ma cosa vuol dire discernimento?

Significa rendersi sensibili all’azione dello Spirito nella comunità degli uomini di oggi, per favorire quelle realtà e processi che appaiono mossi dallo Spirito di Dio, e per smascherare e contrastare quelle realtà e processi culturali e sociali che appaiono contrari allo spirito evangelico. Il principio che sottostà a questa azione di cernita è la certezza che anche ora e adesso lo Spirito santo, la cui azione nella Chiesa i santi Padri poterono paragonare a quella che esercita l’anima nel corpo umano, fa vivere la Chiesa stessa in quell’amore divino che è la legge suprema del regno, che è stato riversato nei nostri cuori. Lo Spirito conduce l’umanità dal peccato e dalla divisione, mediante la riconciliazione, alla comunione. Cogliere la dinamica e la direzione di questo cammino nei fatti di Chiesa e nei fatti di civiltà è fare opera di discernimento. Lo Spirito fa sperimentare a coloro che si lasciano guidare da lui i doni della riconciliazione, della gioia, della pace. La percezione pratica di questi doni fonda il discernimento cristiano” (La forza della riconciliazione, 3.2.1).

Si fa immediatamente evidente che il discernimento – quello comunitario in particolare – non è un dibattito su un argomento e nemmeno uno studio o una riflessione guidata e partecipata. Soprattutto non è opera di conoscenza disgiunta dall’amore e dalla fede. Noi crediamo alla comunità come un organismo vivo dove le persone che lo compongono creano una comunione di cuori tale che lo Spirito Santo si può rivelare. Il discernimento in comune fa leva specialmente sull’amore nel quale vive la comunità: la carità fraterna porta alla vera conoscenza!

Non sarà sfuggito a nessuno quante volte è già stato nominato lo Spirito santo. La nostra collocazione è chiara: essa è teologale in quanto guarda le cose dal punto di vista di Dio e da Dio attende un dono per conoscere il cammino che ci attende.

Ma il dono dello Spirito suscita in noi un atteggiamento stabile al quale diamo il nome di ‘virtù’. Grazie alla virtù del discernimento il nostro animo acquista la capacità di riconoscere, in ogni circostanza, quello che conviene fare; sa scorgere innanzitutto che in ogni circostanza conviene fare qualcosa, che le diverse situazioni in cui veniamo via via a trovarci, ci riguardano, ci interpellano, ci invitano a prendere parte, non ci respingono invece nella situazione troppo comoda (ma anche troppo scomoda) di coloro che sono sempre e solo spettatori.

Grazie a questa autentica virtù noi fuggiamo la tentazione di far finta di niente, di estraniarci dalle situazioni in cui di fatto viviamo, quasi esse non ci riguardassero in nessun modo. La mancanza di discernimento potrebbe essere una colpa per la nostra Chiesa.

 

3.   Che cosa discernere

 L’apostolo Paolo ci ha preceduto affermando che il discernimento cerca “la volontà di Dio”. Poi ha specificato: “Ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.

Vi ricordate? Appena abbiamo incominciato il cammino verso il Sinodo, ve ne ho parlato come di un grande momento penitenziale per tutta la diocesi. So che molti sono rimasti sorpresi da questa prospettiva, che ora si fa più chiara.

Alla ricerca della volontà di Dio vediamo subito quanto il nostro cammino si sia allontanato dal suo e quanto i nostri pensieri hanno preso la distanza dai suoi (cfr. Is 55,8). Dio ci aveva affidato un progetto buono, amorevolmente e sapientemente formulato; noi lo abbiamo manomesso da ogni parte, rendendolo talvolta irriconoscibile. Penso subito alla famiglia, ad ogni famiglia, nata dall’incontro fra l’uomo e la donna, e penso alla grande famiglia umana alla quale il Creatore buono aveva destinato i suoi doni, in maniera equa, affinché vivesse nella pace. Penso alla Chiesa, chiamata a ripercorrere la via di Gesù che aveva rinunciato ad ogni potere, prestigio e successo (cfr. Fil 2,5-11). Penso ancora alla storia di ogni uomo, chiamato alla vita e alla pienezza della vita (cfr. Gv 10,10).

 

Cosa vuole il Signore da noi che viviamo in questa terra, che Lui ha amato e benedetto, e in questi tempo nel quale egli non ha certamente rinunciato alla sua Signoria, che ha il volto del Regno? Ci viene incontro la figura buona del beato papa Giovanni XXIII, riproponendoci la sua ‘Pacem in Terris’ e domandandoci di fidarci di quella categoria dei segni dei tempi da lui formulata con fede e in seguito abbandonata troppo in fretta.

Allora la ricerca della volontà di Dio domanda oggi la vigilanza, l’occhio attento, il cuore trepido della sentinella che sa scorgere i primi bagliori di un mondo nuovo che viene alla luce e sa ascoltare i gemiti di nuove sintesi da far maturare con paziente servizio al mondo. Basterebbe l’esempio della ricerca della pace.

Ma occorre scendere alla lettura dei sentimenti che attraversano questo nostro tempo e lo caratterizzano. Forse essi si congiungono nel sentimento del desiderio che si accende quando si avverte un’assenza, quando il cielo diventa deserto e muto, privo di stelle. Oggi avvertiamo l’assenza di alcuni fondamentali valori condivisi, di fraternità, di senso da dare alla vita. In fondo si tratta dell’assenza di Dio. Il desiderio, se ben interpretato e coltivato, suscita la ricerca feconda; represso, genera inizialmente nostalgia, piuttosto sterile, poi delusione, stanchezza e indifferenza.

 

4.   Chi è il soggetto del discernimento?

 L’insistente richiamo allo Spirito santo ci suggerisce che il soggetto che discerne è l’uomo spirituale. Dunque il credente che si affida al’azione del Paraclito. Un uomo che desume i suoi criteri di giudizio dalla Parola di Dio. Dobbiamo ammettere che la nostra tradizione conosce bene il discernimento personale, mentre ignora quello comunitario o ‘in comune’. La consapevolezza che nella Chiesa alcune decisioni vengono prese dall’autorità superiore (Concilio, Papa, Vescovi) ci ha abituati ad aspettare troppo dall’autorità. Così abbiamo trascurato il discernimento fatto insieme, dimenticando che anche la ricezione di quanto, per sua natura, è riservato ai Pastori, domanda ancora discernimento e non esecuzione meccanica, piuttosto passiva e talvolta risentita. Come avrebbe potuto realizzarsi la riforma liturgica voluta dal Concilio se avesse percorsa la strada del discernimento comunitario, per una ricezione convinta e costruttiva? È solo un esempio al quale si possono associare altri temi: gli organismi di partecipazione, la riscoperta degli itinerari per l’iniziazione cristiana, il dialogo ecumenico e interreligioso, la presenza dei cristiani nel mondo sociale e politico.

 

Il discernimento comunitario vede all’opera un gruppo che possiede un centro. Sarà Cristo e il suo Vangelo, sarà la fede e la capacità, almeno iniziale, di comunicarla. Sarà l’appartenenza alla Chiesa di cui si condividono le ansie, i progetti, l’esperienza. Sarà la preghiera, personale e comunitaria, quale fonte di ispirazione. Sarà il pastore, segno visibile di unità.

Cristo, il Vangelo, la fede, la Chiesa, la preghiera, il pastore: non occorre scegliere né è necessario stabilire una gerarchia. Chi vive di fatto la Chiesa sa che questi sono i suoi punti vitali di riferimento. Saranno i punti di riferimento anche per il discernimento.

E tuttavia non ci sono esclusioni; non può esserci autosufficienza.

La Chiesa ha bisogno del mondo (GS 44).

L’antico Israele fu spesso aiutato e istruito dai pagani: da Ietro, suocero di Mosè, fino a Ciro, re di Persia. Una donna pagana strappò uno dei miracoli più commuoventi di Gesù; un militare pagano espresse una delle preghiere più belle del vangelo; meritandosi l’elogio di Gesù stesso; un centurione romano fece la prima professione di fede: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39).

Noi oggi avvertiamo un grande bisogno degli altri, anche dei lontani; anche dei nemici, se ce ne fossero!

I fatti sui quali si eserciterà il nostro discernimento ci domanderanno un’attenta documentazione. Noi temiamo le letture fideistiche che attribuiscono troppo in fretta il bene o il male alla Provvidenza o al Maligno. Abbiamo bisogno di capire e di studiare. Ci aiuteranno anche le scienze umane. Ascolteremo chiunque abbia competenza. Sappiamo che non esiste, nemmeno nella Chiesa, la persona ‘illuminata’ che capisce tutto da sola, che informa gli altri e poi dirige le scelte nel modo da lei voluto. Chi si atteggia in questo modo è pericoloso e non serve il discernimento che invece chiede umilmente aiuto a tutti.

 

5.   Il clima del discernimento

 Abbiamo evidenziato il protagonismo dello Spirito santo! Dovrebbe risultare evidente che il clima del discernimento, l’unico che lo protegga e lo faccia crescere, è la preghiera.

La preghiera infatti ci mette in sintonia con lo Spirito. Quando si è arrivati a questo traguardo è possibile guardare in fondo alle cose. La visione dei nostri ritardi e delle nostre colpe non ci deprime più; l’occhio si purifica e diventa capace di vedere cosa si muove nel profondo di noi stessi e della nostra storia, già radicalmente salvata. L’ascolto delle domande esigenti che ci richiedono cambiamenti non ci provoca affanno se la preghiera mantiene desta la vigilanza e la prontezza per nuove partenze.

Sarà una preghiera di lode e ringraziamento per tutto il bene che scopriamo; una preghiera di supplica e intercessione per tutti i bisogni che tormentano la nostra terra. La preghiera ci collocherà ogni volta nella verità: la Chiesa, il mondo, l’umanità sono di Dio: Egli è il Signore che opera infaticabilmente; Egli solo è il buon Pastore al quale noi diamo braccia e cuore e voce, con disponibilità umile. Sarà una preghiera personale e comunitaria; darà sostegno al discernimento quasi da lontano e sarà il primo atto di ogni nostro incontro. Così preparati ci disporremo all’ascolto.

Presteremo ascolto a Dio e ai fratelli che ci hanno tanto parlato nel primo anno del cammino sinodale. Nessuna voce ci è estranea, nessuna esperienza inutile. San Benedetto sapeva che Dio spesso rivela la sua volontà al più giovane e per questo esigeva che tutti fossero ascoltati. Noi seguiremo tale norma che ci fa attenti ad ogni contributo. Saremo umili! Non scambieremo mai un incontro di discernimento comunitario con un dibattito. L’umiltà non si manifesterà necessariamente in un cambiamento di opinione, ma con il riconoscere che le nostre opinioni non sono mai frutto di un ragionamento privo di ogni sentimento e di ogni pregiudizio. Scopriremo le nostre paure: paura di perdere una sicurezza e paura di perdersi.

Saremo capaci di vero discernimento se non avremo timore di cambiare, se saremo aperti al nuovo, se ci disporremo a ripartire anche su strade inesplorate. C’è sempre l’oggettiva e realissima possibilità che il Signore si faccia sentire e dunque ci domandi di convertirci e rinnovarci.

L’atteggiamento del discernimento ci impedisce di intestardirci: non ci si può chiudere nel proprio “avere ragione” perché il centro non sono io, né le mie idee e i miei programmi, ma solo il Signore. E noi cerchiamo insieme la sua volontà e il suo disegno su di noi.

 

6.   Un metodo per il discernimento

 La forma che assume ogni discernimento comunitario è elastica. Cresce con l’esperienza e si adatta alle comunità e ai gruppi. Ordinariamente conosce le seguenti tappe che è bene verificare con attenzione:

a)   FORMULAZIONE DELLA QUESTIONE. La questione ci interessa? Quali sono i suoi termini esatti? Li abbiamo capiti e li condividiamo? Abbiamo bisogno di una documentazione fornita eventualmente anche da esperti? Qualcuno ha trovato un testo biblico o un brano magisteriale o un esempio nell’esperienza dei santi che ci aiuti già a pregare e ci solleciti ad una iniziale riflessione?

b)   RIFLESSIONE E PREGHIERA. Siamo protesi a scoprire le implicazioni del problema che trattiamo con il regno di Dio e ci interroghiamo sulla riflessione che ci è richiesta. Tali operazioni domandano calma, silenzio, preghiera. Non avremo paura di tempi, anche prolungati, che aiutino tali condizioni.

c)   LO SCAMBIO. Sarà un mutuo ascolto che non prenderà la forma del dibattito. Ognuno dice le sue “ragioni” e le sue “mozioni”, cioè quanto pensa e quanto sente. Va accuratamente evitata la forma della discussione che inevitabilmente lascia ai margini o in silenzio parecchi membri del gruppo.

d)   CONFRONTO DELLE OPINIONI ESPRESSE. Le posizioni emerse nello scambio vanno ora riassunte e riformulate in modo chiaro e breve. Su questa base si potrà esprimere il proprio accordo o disaccordo. Non sarà più accordo o disaccordo con una persona, ma su una formulazione.

e)   CONFERMA. Chi guida il gruppo formulerà una posizione riassuntiva che cerca di integrare il cammino compiuto. Può essere il momento dell’alzata di mano, del consenso espresso in qualche modo. L’unanimità è una meta, ma non è sempre necessaria. Si può legittimamente concludere con due o più mozioni.

 

7.   Le regole

 Ecco un possibile elenco di domande che normalmente aiuteranno un processo di discernimento.

 

Posto un argomento (ad es: i giovani, i poveri, la famiglia, la concordia), ci chiediamo:

•     ‑Quali sono le tenebre, i motivi di preoccupazione, gli aspetti negativi?

•     ‑Quali sono le luci, i motivi di speranza, gli aspetti positivi?

•     Cosa ci dice la nostra storia?

•     Cosa ci dicono i nostri contemporanei?

•     Cosa ci annuncia la Parola di Dio?

•     Dove è Dio in questa situazione?

•     Cosa è richiesto alla mia conversione personale?

•     Cosa si domanda alla conversione comunitaria?

•     Come comunicare la nostra speranza?

 

Immaginiamo i vari temi, quelli emersi dalle tante schede del primo anno, e intravediamo già il campo di lavoro del secondo anno.

Attraverseremo le domande ricordando sempre alcune regole.

 

a)   Nessuno possiede già il discernimento! Esso è invece dono dello Spirito che viene dato a chi si mette in atteggiamento di apertura, di accoglienza, di simpatia verso il proprio mondo.

b)   Giudicare nello Spirito è giudicare nella fede: niente è più lontano dalla fede quanto l’atteggiamento di dominio che vuole imporre agli altri la propria interpretazione o la propria proposta.

c)   Sarebbe pericoloso – e peccaminoso – quel giudizio che si facesse schermo di discorsi di fede per nascondere la propria mancanza di evangelicità. In positivo: saremo sempre sinceri e limpidi.

d)   Se non siamo d’accordo sui fini è inutile cercare mezzi. Non dobbiamo temere di perdere tempo per costruire, e ricostruire, nel gruppo l’accordo fondamentale. Normalmente sarà il Regno di Dio e la sua giustizia, dove ci sono la verità, la carità, la libertà, il bene di tutti.

 

Preghiera allo Spirito Santo

[inizo lettera pastorale]

[preghiera per il Sinodo]

[preghiera allo Santo Spitiro]

[terza parte]

[seconda parte]

[prima parte]

Grazie, Spirito creatore,

      ‑perché trasformi continuamente

      il nostro caos in cosmo.

 

Grazie perché sei per noi il consolatore,

      ‑il dono supremo del Padre, l’acqua viva,

      il fuoco e l’unzione spirituale.

 

Grazie per gli infiniti doni e carismi

      che hai distribuito fra gli uomini:

      donaci di riconoscerli a accoglierli

      con gratitudine.

 

Grazie per la parola di fuoco

      che non hai mai cessato di mettere

      sulla bocca dei nostri pastori, dei maestri,

      dei profeti, dei santi della nostra terra:

      non la vogliamo mai dimenticare.

 

Grazie per la luce di Cristo

      che hai fatto brillare nelle nostre menti,

      per il suo amore che hai effuso nei nostri cuori

      e la guarigione che hai operato

      nelle nostre infermità.

 

Grazie per essere stato al nostro fianco nella lotta,

      per averci aiutato a vincere il nemico

      o a rialzarci dopo la sconfitta.

 

Grazie per essere stato la nostra guida

      nelle scelte difficili;

      il ricordo di quanto hai operato

      nella nostra avventura ci dà certezza

      che tu sarai al nostro fianco

      anche nelle scelte che ci attendono oggi.

 

Grazie per averci preservato

      dal fascino del male

      e dalle suggestioni di potere

      che avrebbero sfigurato il volto della Chiesa,

      serva di Cristo e dell’umanità.

 

Grazie per averci rivelato il volto del Padre

      e averci insegnato a ridire “Abbà”.

 

Grazie perché spingi la Chiesa

      a proclamare anche oggi

      che Gesù è il suo Signore.

 

Semplicemente perché ci sei,

      tu anima di ogni vero discernimento,

      ora e per tutta l’eternità,

      sii ringraziato.

 

Terza parte

[inizo lettera pastorale]

[preghiera per il Sinodo]

[preghiera allo Santo Spitiro]

[terza parte]

[seconda parte]

[prima parte]

“Discernere” in campi precisi, propri del nostro contesto

 

«Va’!»

  È giunto il momento

di indicare le strade su cui noi,

discepoli del Signore,

accompagnati dallo Spirito santo

dovremo operare

perché il volto di Cristo Risorto,

manifestazione della presenza amorosa del Padre,

si possa manifestare ad ogni uomo.

   

Siamo così giunti al passaggio che qualifica il nostro “Camminare insieme”: come risultato del percorso fatto che ci ha permesso di riconoscere le cose più importanti della nostra vita sia ecclesiale che personale e civile, come anche individuare l’attenzione prioritaria che la nostra Chiesa diocesana in Sinodo deve avere nei prossimi anni.

Ci sono alcune conferme che debbo dare per evitare di dissociarci in questo momento che deve essere di massima unità ed impegno.

 

1.   Convergenze

 a)   Una prima convergenza che deve trovarci tutti concordi è il convincimento che la Chiesa, voluta dal Signore risorto a servizio dell’umanità chiamata ad aprirsi all’amore di Dio, è solo un piccolo rivolo presente in un territorio, nel progredire della storia. Le situazioni sono complesse e ampie, ma la Chiesa non si scoraggia e quello che riesce a fare sa di poterlo ridonare a Dio che ama la salvezza di questo mondo più di tutti e sa trovare le strade più giuste perché questo avvenga. Da qui la convinzione di rimanere sereni in ogni cosa; senza ansia di fronte alla gravità delle situazioni; generosi nel donare tutto quello che abbiamo a disposizione; certi dell’opera grande di Dio aldilà dei nostri modesti ma convinti contributi.

b)   Un secondo convincimento è che avremmo potuto fare tante altre scelte proprio in forza della situazione in cui ci troviamo. Ma non possiamo sfiancarci su un orizzonte troppo ampio. Come Vescovo di questa Chiesa, invocato intensamente l’aiuto del Signore, con l’apporto di diversi pareri ho fatto una scelta. Ognuno fra noi avrebbe potuto proporne altre, altrettanto meritevoli di considerazione. Scegliere significa puntare su qualcosa/qualcuno con evidente esclusione di altro. Operare insieme in unità di cuore e di azione vale assai di più che muoverci in dispersione.

c)   Le fonti a cui ho prestato molta attenzione nella ricerca del tema sinodale sono state:

• Prima di tutto la nostra storia di Belluno-Feltre.

• Tenuto presente che la nostra comunità appartiene alla grande comunità ecclesiale italiana e universale, ho prestato molta attenzione al Magistero della Chiesa che, preoccupato di essere nel mondo ma di non essere del mondo come ha ricordato Gesù, continua ad orientare tutti i credenti in Cristo verso i valori evangelici senza i quali non c’è né felicità né salvezza. Un più attento riferimento allora alla proposta programmatica del Papa Giovanni Paolo II per vivere nel nuovo millennio (Novo millennio ineunte) e al programma pastorale della chiesa italiana per questo decennio (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia).

• Le indicazioni emerse dalle narrazioni dei gruppi sinodali, dal rilevamento dei domenicali – cioè delle presenze alla S. Messa nel giorno del Signore –, dalla ricerca sulla realtà socio-pastorale della nostra diocesi hanno offerto una quantità di dati che dovranno essere approfonditi.

d)   C’è, poi, un atteggiamento interiore che dovremo mantenere sempre: è quello di saper fare i conti con gli avvenimenti che sopravanzano. San Paolo, nella prima lettera ai cristiani di Corinto la esprimeva così: “Aspirate alla carità. Desiderate intensamente i doni dello Spirito, soprattutto la profezia... Se tutti profetizzano e sopraggiunge qualche non credente o non iniziato, verrà da tutti convinto del suo errore e da tutti giudicato, i segreti del suo cuore saranno manifestati e così, prostrandosi a terra adorerà Dio, proclamando: Dio è veramente fra voi!” (1Cor 14,1.24-25). Riflettere sulla vocazione profetica del cristiano e della chiesa (dono e impegno) sarà compito nostro per i prossimi tempi.

 

2.   Alcune indicazioni

 Se guardiamo in profondità nella avventura umana noi ci accorgeremmo che, nei diversi contesti, conflittuali o no, emergono delle sfide che provocano inquietudine per la loro gravità o per la urgenza della risposta da dare o, ancora, per l’ampiezza che hanno assunto.

Ma c’è una sfida che è sintesi di tutte le altre e tutte le attraversa: è la sfida della vita.

a)   La solitudine invoca la comunione; la profanazione della vita umana chiede dignità; viene invocata sicurezza là dove c’è smarrimento; i popoli anelano alla pace se minacciati dalla violenza; di fronte al vuoto della apparenza e della superficialità si brama autenticità. E così nel lavoro, nella salute si esigono garanzie. Il suicidio è la estrema dichiarazione che non è apparso o non è stato intravisto il senso e il valore della propria esistenza.

b)   Anche là dove viene dichiarata la felicità per il buon esito dello studio, per le buone relazioni nella famiglia, con gli amici, per il tempo libero e il benessere si rischia di non sentire il bisogno della fede in una altra vita.

c)   Quanti, risolte le necessità primarie sentono di impegnarsi per realizzare relazioni più personali e religiose, o di lottare per una più diffusa dignità della persona umana e del riconoscimento dei suoi inalienabili diritti per vivere da uomini veri nel mondo di oggi testimoniano che è molto importante raggiungere una nuova qualità della vita.

La risonanza di queste sfide protese alla piena esistenza coinvolge necessariamente la comunità cristiana, colpisce ogni aspetto della sua identità e obbliga a valutare alla radice il suo modo di essere e di agire nel contesto in cui è collocata. Tale esigenza emerge con forza anche dalle cose dette e rilevate nel cammino di questi anni di Sinodo.

La Chiesa viene necessariamente provocata a misurarsi sul senso dell’incarnazione e redenzione ottenuta dal suo Signore. A fare sua la causa di Gesù: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

 

3.   Orientamenti per il Sinodo

 Siamo così giunti ad indicare i temi su cui rifletteremo insieme per elaborare il nostro impegno pastorale per i prossimi anni.

Riscoprire e vivere la vita in pienezza: è l’anelito che apre la Chiesa verso il mondo e la sua storia. Non c’è creatura che non brami questo e, purtroppo, lo cerca spesso “a tentoni”. Non si preclude nessun percorso: aiutare a risolvere il bisogno primario della sopravvivenza; accompagnare l’esigenza spirituale di ritrovare il senso della propria vita; sostenere la domanda religiosa che vuole scoprirne il fine. Tutte le persone possono essere ottimi compagni di viaggio e, per altro verso, il cristiano si sente costruttore di solidarietà con tutti.

Ma il credente sa, e questo è dono che viene dall’alto perché sia offerto a tutti, che il senso finale della vita e della sua felicità è “incontrare Cristo”, incontrarlo in un radicale rapporto di Persona a persona; riconoscerlo come Colui alla cui immagine ogni persona è stato creata; che ha scelto di donare se stesso perché nessuno si senta smarrito.

Nostro compito di credenti è servire la Vita.

 

In questo orizzonte splendido il sinodo ci obbligherà a rispondere ad alcune radicali domande:

 

•     Chi annuncia Cristo?

La Chiesa che è stata investita della missione di “essere serva dell’umanità”. Ce lo ha ricordato il Concilio (“...la Chiesa è in Cristo segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”, LG 1) e alla sua chiusura con energia Paolo VI con un testo che ha orientato il nostro anno di preparazione al Sinodo, l’anno dell’ascolto (“tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa in un certo modo si è dichiarata ancella dell’umanità”, Enc.Vat. I, 460). Su questa domanda dovremo impegnare la nostra riflessione per rivedere come le nostre comunità parrocchiali e diocesana si impegna di fatto in questa direzione.

•     Come annunciare?

Saremo richiesti di verificare se i modi e i luoghi dell’annuncio rispondono alla domanda esplicita o implicita delle persone a cui siamo mandati, in un contesto di ansia di ricerca di forme religiose anche le più diverse. Si renderà necessaria anche la elaborazione di una metodologia dell’annuncio: da dove partire, come accompagnare, fin dove inoltrarsi.

•     Quali aree della vita e della società privilegiare?

Da ciò che emerge con insistenza da tutta la riflessione precedente è la famiglia ad essere l’area propria da cui partire. Quanta attenzione a questa realtà. Quanta preoccupazione attorno alla sua integrità. Il tema della famiglia nei suoi valori e nei suoi rischi, oggi assolutamente più gravi che nel passato, emerge ovunque.

•     Su che cosa puntare?

Sul valore del formare la persona nella sua identità e nelle sue relazioni. Mi pare proprio che la formazione della coscienza per una autonomia in dignità; l’educazione all’amore, nelle sue espressioni vocazionali di coppia o di servizio nella chiesa; la corresponsabilità nella vita sociale e politica siano le mete operative su cui confrontarci.

 

Cari fratelli nella fede, abbiamo indicato per accenni, da approfondire, il cammino e l’impegno sinodale.

Mi sento con voi richiamato da quell’invito di Gesù che è il motto per il terzo millennio: “Duc in altum”, avanza verso il profondo, inóltrati verso il mare aperto.

Maria, sorella e Madre, ci guida, ci aiuta.

Ci accompagnano i Santi della nostra terra.

  

Basilica cattedrale di Belluno

8 giugno 2003

  Vincenzo, vescovo

 

Preghiera per il Sinodo

[inizo lettera pastorale]

[preghiera per il Sinodo]

[preghiera allo Santo Spitiro]

[terza parte]

[seconda parte]

[prima parte]

O Dio, manda la tua verità e la tua luce.

      illumina la Chiesa di Belluno-Feltre,

perché nel suo cammino sinodale di conversione,

      desideri solo ascoltare Te

      e decidersi per il tuo progetto di salvezza.

 

Padre,

      Tu che conosci nel profondo il cuore umano,

      i suoi turbamenti e le sue speranze;

      sai che tutta la nostra ricerca anela a Te,

      nostra origine.

Tu, il misericordioso, donaci occhi

      per conoscere le necessità e le sofferenze

      degli uomini e delle donne del nostro tempo,

      le attese dei nostri giovani.

 

Signore Gesù Cristo,

      Figlio mandato dal Padre,

      per la condivisione della tua vita con noi,

      Tu conosci nel profondo i nostri cuori

      i loro slanci e le loro cadute.

Concedi a questa tua Chiesa,

      la capacità di giudicare e di decidersi

      secondo la legge del tuo amore.

 

Spirito Santo,

      dono effuso nei nostri cuori,

      per la tua forza tutto vive.

Nutri la nostra volontà e sostieni le nostre decisioni.

      Fa’ che ogni nostra azione

      sia testimonianza luminosa del Vangelo.

 

Dio Trinità,

      radunati nel tuo vincolo di amore

rendici Chiesa, visibile segno di comunione

      e profeti nel mondo

      della tua volontà di salvezza,

      a lode della tua gloria.

 

Maria,

      madre di Dio e della Chiesa,

santi e sante della nostra terra,

      siate gioiosi e sicuri compagni

      del nostro cammino sinodale,

      e del nostro cammino nel cuore della vita. 

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