XII Capitolo "Applausi e carezze"

 

Poi è giunto Natale. Non è stato un Natale sereno, per me. I dolori mi hanno aggredito come mai era accaduto prima. Lo ammetto, un po'' mi stavo scoraggiando.  .....

..... Cerco di rimettermi in piedi, di stare il più possibile accanto alla mia gente. Non a Natale. Ma la sera dell'Epifania sì. Devo esserci, perché so che la gente, se non mi vede, si allarma e pensa alle cose peggiori. Esco dalla sacrestia, vestito di rosso, dopo il Vangelo. Mi siedo su una poltrona davanti all'altare. Un silenzio di tomba. Mi sento gli occhi tutti puntati addosso. L'omelia è sul Sinodo, in cui credere e da far crescere a prescindere da quello che potrà accadere a me, al vescovo. Alla fine mi alzo e mi viene spontaneo sollevare le braccia, entrambe le braccia, le mie braccia così magre per salutare tutti. Non posso fare di più, non posso fare come vorrei. Di solito vado in fondo alla cattedrale per salutare tutti uno per uno, ma stavolta è impossibile. Così sollevo le braccia e subito scoppia un applauso da brividi.

Applauso... In realtà lo sento precipitarmi addosso come fosse una colossale carezza.

Mentre rientro in sacrestia, penso: dovrò farmi vedere ancora, nella cattedrale, sì. Hanno bisogno di essere rassicurati; e se non mi vedono più, chissà che cosa pensano. Chissà.

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