|  Tutta
        la nostra comunità si è impegnata quest’anno per una
        microrealizzazione in Uganda dove presta la sua opera Suor Lea
        Zandonella, missionaria comboniana.
        
         L’Uganda
        è un paese dell’Africa con circa 19 milioni di abitanti.
        Malnutrizione, analfabetismo, mancanza di assistenza sanitaria sono i
        problemi che affligono queste popolazioni e ultimamente ci è aggiunto
        l’AIDS che ha già colpito il 25-30% degli abitanti.
        
         Ad
        aggravare la situazione c’è anche una guerriglia interna
        antigovernativa, che oltre a seminare morte e distruzione in tutto il
        Nord del Paese, è responsabile del rapimento di migliaia di ragazzi e
        ragazze.
        
         Già
        oltre  20 mila sono i giovani, ma anche bambini, rapiti e poi
        costretti a combattere mentre le ragazze diventano “mogli” dei
        guerriglieri, altri invece vengono venduti come schiavi in Sudan.
        
         Drammatiche
        sono le testimonianze dei pochi che riescono a fuggire e rientrare nei
        loro villaggi e per questi poi si presenta il difficile problema del
        loro recupero psicologico e sociale dopo tanta violenza.
        
         In
        questa realtà vive suor Lea.
        
         Voglio
        proporvi una sua testimonianza dove spiega le motivazioni che l’anno
        portata a questa scelta di vita con i più poveri.
        
         …
        
         Credo
        di poter affermare che la mia vocazione missionaria è nata e maturata
        all'interno di un gruppo "antenato" di "Insieme si Può
        
         "
        che si chiamava "NAM", cioè Nucleo Amici Missionari. Lo
        incontrai per caso nell'ambiente dell'Azione Cattolica degli emigranti
        italiani a Zurigo. Vi aderii con entusiasmo e spensieratezza. Mi
        coinvolse nel sacrificio per riuscire a prestar fede all'autotassazione
        mensile, senza toccare il salario riservato alla famiglia; mi apri gli
        orizzonti della mente e del cuore per abbracciare altri popoli, altre
        realtà; mi rese più attenta e riflessiva alle esigenze del
        cristianesimo vissuto e infine mi trovai ... nel convento delle suore
        missionarie comboniane a Verona. Davvero le vie del Signore sono
        imprevedibili, ma Lui, senza sostituirsi a noi, ci guida e ci accompagna
        se solo lo desideriamo.
        
         Più
        che da un "innamoramento del Cristo credo che il movente iniziale
        della mia vocazione sia derivato da un forte senso di solidarietà e di
        giustizia verso le mie sorelle e fratelli africani. Mi vedevo sana,
        mediamente intelligente, preparata tecnicamente, con buone possibilità
        di lavoro retribuito, accolta e sostenuta dalla famiglia e dalla comunità
        cristiana. In che modo consideravo io la giustizia verso chi non poteva
        nemmeno sognarseli tutti questi beni? Da lì nacque il ripensamento che
        mi portò ad abbracciare la vita religiosa e missionaria.
        
         Erano
        gli anni immediatamente precedenti il '68; i giovani erano in subbuglio;
        volevano combattere con la violenza le ingiustizie istituzionalizzate.
        La famiglia, la chiesa, la scuola, la politica, lo stato, tutto era
        sotto processo con una terribile tendenza a puntare il dito sulle
        responsabilità degli altri. In quel periodo io ho avuto la fortuna di
        incontrare, tra gli emigranti, dei giovani che hanno avuto l'onestà di
        puntare il dito prima di tutto verso se stessi. Nelle riflessioni
        personali e di gruppo, ci si aiutava a prendere coscienza delle nostre
        responsabilità individuali e sociali e si passava poi, con grande gioia
        ed entusiasmo, ai vari impegni nel campo del volontariato.
        
         Il
        primo compito del missionario, e perciò anche il mio, è stato quello
        della formazione e della personale conversione a Cristo. Un missionario
        non può andare verso gli altri per suo conto (è troppo poco e si
        esaurirebbe in fretta), ma ci va a nome di Cristo. Perciò deve
        familiarizzare con Lui, diventare suo, capire la sua mente e il suo
        cuore, per poi agire come agirebbe Lui, sia pure con tutti i limiti
        della propria realtà umana. Quello che si fa, poi, conta relativamente,
        ciò che più vale è il come e per chi.
        
         Io
        ho lavorato quasi sempre in Africa, prima in Eritrea e poi in Uganda,
        nel campo sanitario come infermiera, ostetrica, insegnante, segretaria e
        amministratrice nei programmi di controllo e prevenzione della lebbra
        finanziati dalla Germania, ma sostenuti anche da molti benefattori
        italiani. Ultimamente mi sono occupata anche di coordinare il progetto
        delle "adozioni a distanza" di bambini orfani o bisognosi
        della missione di Lira, nel Nord Uganda.
        
         Quando
        si lavora gratuitamente, un pericolo si può escludere in partenza e cioè
        la disoccupazione. La vita missionaria non mi ha mai delusa, casomai è
        il mio modo di viverla che può a volte essere stato deludente.
        
         Sono
        passati i tempi in cui, attorno alla figura del missionario, c'erano
        tanta poesia e idealismo. Oggi si mette in dubbio persino l'opportunità
        e la validità del suo annuncio. Sono in molti infatti a porsi
        l'interrogativo: «L'Africa, l'Asia, il Sudamerica sono realtà ormai
        molto vicine a ciascuno di noi, ci interpellano, ci scomodano, ci
        inquietano. Perché andare ancora a "disturbare" quei popoli
        nel loro ambiente, quando c'è tanta scarsità di clero e di religiosi
        per accudire alle nostre comunità parzialmente decristianizzate?».
        
         Credo
        che, più che mai, il missionario d'oggi si distingua per aver accolto
        come rivolte a sé le parole di Gesù: “Come il Padre ha mandato me
        anch'io mando voi ... “ (Gv. 20,2 l); ”Andate dunque e ammaestrate
        tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello
        Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
        comandato”. (Mt. 28,19
        
         20).
        
         Questo
        ordine è ancora attuale e la storia ci dice che il messaggio di Cristo
        è l'unico che può liberare l'uomo dalle sue mille schiavitù, per
        indirizzarlo verso la piena libertà dei figli di Dio.
        
         Nelle
        varie realtà di missione non siamo sempre accolti con entusiasmo ed ìnteresse;
        spesso siamo tollerati, ostacolati e perseguitati non solo dalle forze
        politiche, ma anche da «quelli della nostra stessa casa ... »; molto
        spesso la persecuzione ha il suo apice nell'eliminazione dei testimoni
        scomodi. Questa è esattamente la via percorsa da Gesù Cristo il quale
        ci ha premuniti dicendo: ”Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche
        voi ... “.
        
         La
        gioia di lavorare con e per il Signore e per il suo popolo ripaga
        comunque mille volte la fatica della giornata spesa nella Sua Vigna.
        
         Mi
        auguro che la gioventù d'oggi abbia ancora il coraggio di rischiare la
        propria esistenza, non solo sulle strade, guidando a velocità pazzesca,
        ma nell'avventura esaltante di seguire Cristo a tempo pieno e per tutta
        la vita.
        
         ….
        
         Suor
        Lea ha scelto questa strada di condivisione totale con i più poveri 
        per vivere concretamente il Vangelo. Anche a noi è chiesto di essere
        nella nostra realtà quotidiana, capaci di trasformare la Parola del
        Vangelo in vita vissuta.
        
         Giovanna
        Teza
        
        
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