EdC
oltre ad essere una risposta forte al dilagare della povertà nel sud
del mondo è fondata su un’idea, che in chiave
prospettica, ha una forza dirompente. Quest’idea è che le cose
economiche come il profitto, l’efficienza della produttività, il
prodotto e il processo che ha permesso la sua produzione hanno un
impatto sociale che non può e non deve essere separato nell’analisi.
Infatti
il modello dell’Economia di Comunione ha contribuito a dare un forte
impulso al dibattito su etica ed economia, minando di fatto i fondamenti
della teoria economica degli ultimi 100 anni. Non c’è tuttavia
da spaventarsi, altre scienze più antiche hanno avuto nel corso della
storia due o tre rivoluzioni al loro interno.
L’economia
è diventata una scienza empirica, in cui l’unica unità di misura è
l’efficienza finalizzata alla massimizzazione del profitto, escludendo
e considerando come extra-economici alcuni comportamenti: la solidarietà,
l’onestà, l’equità, la socialità.
Questo
significa che fino al recente passato l’efficienza e la solidarietà
erano ritenuti poli opposti, separati ed indipendenti, il primo di
competenza del privato che deve occuparsi di efficienza e produzione di
ricchezza, il secondo di competenza del “pubblico”, cioè dello
Stato, che deve occuparsi di solidarietà. Oggi, si è aperto uno
spiraglio, eminenti economisti ritengono che queste siano
caratteristiche intrinseche e complementari di uno stesso sistema,
quello economico.
La
prova di questo, che speriamo essere, un grande cambiamento culturale
nell’economia, è stato il riconoscimento nel 1998 del premio Nobel
all’economista e filosofo indiano Amartya Sen, il quale è uno tra gli
autori che maggiormente si sono occupati del rapporto tra scienza
economica ed etica. Egli nell'opera in cui si occupa esplicitamente di
questo rapporto, afferma di trovare totalmente straordinario il fatto
che la concezione più diffusa dell'economia sia quella che considera le
motivazioni degli esseri umani "puramente e semplicemente
economiche", non complicate cioè da cose quali la socialità, la
solidarietà o più in generale da sentimenti morali. E questo per una
ragione molto semplice: il fatto che l'economia si ritiene debba
interessarsi alle persone reali. Sembra quindi impossibile pensare che
esse non siano influenzate da motivazioni di tipo etico e si attengano
esclusivamente alla testardaggine che attribuisce loro l'economia
moderna. Una delle indicazioni più autorevoli di Sen è che gli
indicatori della crescita e lo sviluppo di un sistema economico non
possono più essere solo di ordine monetario e finanziario ma dovranno
essere sempre più integrati dai cosiddetti indicatori “sociali”.
Segnali
in questo senso ce ne sono. L’Unione Europea in un trattato
considerato blindato da un punto di vista dei comportamenti economici,
qual’è quello di Maastricht e successivamente quello di Amsterdam ha
inserito provvedimenti sociali per affrontare problemi sociali quali la
disoccupazione, la salute e la sicurezza del lavoro. I mercati vengono
integrati da componenti di socialità che non ne impediscono il
funzionamento nè creano incompatibilità con i fini sociali.
Credo
che sia questa la sfida a cui Giovanni Paolo II , il 1 gennaio 2000, ci
invita nel messaggio “Pace in terra agli uomini che Dio ama”: “…è
doveroso interrogarsi anche su quel crescente disagio che, al giorno
d’oggi molti studiosi e operatori economici avvertono quando
riflettono sul ruolo del mercato, sulla pervasiva dimensione
monetario-finanziaria, sulla divaricazione tra l’economico e il
sociale. E’ forse giunto il momento di una nuova e approfondita
riflessione… Vorrei qui invitare i cultori della scienza economica e
gli stessi operatori del settore, come pure i responsabili politici, a
prendere atto dell’urgenza che prassi economica e le politiche
corrispondenti mirino al bene di ogni uomo e di tutto l’uomo”.
Michele
Dal Farra
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