Un grande evento si sta svolgendo in questi
giorni davanti ai nostri occhi, sotto la forma di spettacolari
bombardamenti in diretta, di carovane di mezzi militari nel deserto, di
annunci conclamati di date e orari esatti dell’inizio e della fine di
una guerra e di tutte le sue strategie. Una guerra che si cerca di
rendere lontana, irreale e asettica: non ci sono più quei giornalisti
armati di coraggio e di “penna e taccuino” che scendevano sul campo di
battaglia, raccontando la loro realtà e rendendo la gente partecipe dei
rumori della guerra, dell’odore del sangue. Sono le notizie ufficiali
date dalla rassegna stampa, ora, a imperare, più della testimonianza
diretta, e ciò che vediamo della guerra sono scene spettacolari e quasi
artificiali di un evento che sembra perdere la sua reale tragicità.
Come reagisce a tutto ciò la gente, o,
meglio, i giovani, che saranno i “protagonisti” di questa indagine? A
quanto pare, ben poche sono le persone a favore della guerra, e oserei
dire che questa rappresentanza è assente tra i giovani. Penso infatti
che questi vogliano credere nella pace, sebbene essa possa sembrare,
talvolta, soltanto un ideale, un’utopia. La gran parte dei giovani ha
vissuto esperienze di gruppo, di vita di comunità, di camposcuola e ha
imparato a credere possibile l’applicazione concreta nel nostro mondo
dell’amore e del rispetto reciproco, e anche chi non le ha vissute
crede, comunque, negli stessi ideali. Non possiamo non considerare, poi,
l’importante contributo che il papa non si stanca di dare, in questi
giorni, a sostegno della pace, richiamando gli uomini alle proprie
responsabilità di fronte a se stessi, alla storia, a Dio. Un papa che si
pone in mezzo ai giovani, che parla con loro, come in occasione delle
giornate mondiali della gioventù, a cui ragazzi di tutto il mondo hanno
partecipato numerosi e pieni di entusiasmo, desiderosi di ascoltarlo.
I giovani hanno, inoltre, fiducia nella
diplomazia e per questo riesce loro difficile capire perché per
risolvere una situazione si debba ricorrere a una guerra. Desiderano
capire le ragioni che hanno portato a questa situazione, non comprendono
come una sola nazione forte abbia più autorità di organismi
internazionali – il cui ruolo dovrebbe essere proprio quello di
risolvere i problemi, possibilmente evitando il ricorso alla violenza –
e giunga a “sostituirsi” ad essi.
Credo dunque che i giovani – ma certamente
non solo loro – non vogliano rassegnarsi all’indifferenza, alla
passività, in quanto credono profondamente nell’ideale della pace e lo
vedono realizzabile.
Alcuni giovani in qualche modo giustificano
la guerra in nome di un futuro migliore per i popoli oppressi.
Anch’essi, tuttavia, credono nella pace. Non mancano poi, come sempre,
gli indifferenti.
Vi sono giovani che esprimono liberamente il
loro pensiero in vari modi, a parole o con segni “caratteristici”
nell’abbigliamento. Vi sono giovani pronti a manifestare per la pace,
altri che, pur pensandola allo stesso modo, non fanno altrettanto, altri
ancora che parlano di pace e nella loro vita non applicano ciò per cui
si infervorano. Il mondo dei giovani, come del resto quello di tutta
l’altra gente, è vario, e non è possibile parlare di loro come se
fossero un’unica, compatta categoria. Ad ogni modo, sono convinta del
fatto che il pacifismo dei giovani non sia solo una moda, ma sia
qualcosa in cui essi credono sinceramente.
Francesca Busetti