In un mattino azzurro
sono ad Auschwiz o per meglio dire ad Osviecim, sì perché i tedeschi
avevano cambiato anche il nome della località dopo averne fatto
sloggiare gli abitanti.
li museo-sacrario ti
accoglie con la cinica scritta:" il lavoro rende liberi" soprastante il
cancello in ferro.
Tu entri e già il cuore si
gonfia. Aggregata ad un gruppo di marchigiani ascolto le spiegazioni
della guida polacca. Auschwiz è nel cuore dell'Europa: per questo era
stata scelta per farvi confluire, con equidistanza, i derelitti che qui
finivano i loro giorni di dannati.
Sorta nel 1940 come lager
per più di 20.000 polacchi che qui morirono, divenne poi campo di
sterminio di zingari, russi, ed ebrei.
Passiamo silenziosi in mezzo
alla tragedia: si sente solo la voce del nostro cicerone che accavalla
orrore su orrore: Il medico che decideva della vita o della morte con un
semplice sguardo, il muro delle esecuzioni dopo un processo della durata
di 5 minuti, l'orchestrino che suonava marce quando- i prigionieri
uscivano per lavorare i campi e valzer quando rientravano a sera
trascinando i corpi dei morti di fatica e stenti. Entriamo nei blocchi
che all'epoca erano caserme polacche dimesse e qui veramente il cuore si
gela.
Camminando lentamente,
a destra ed a sinistra, chiuse in enormi vetrine, ci sono le tangibili
memorie di chi " è passato per il camino": tonnellate di capelli di
donna, una marea di scarpe, valigie di fibra recanti le generalità dei
proprietario; una montagna di occhiali, bastoni, apparecchi ortopedici;
un enorme cumulo di stoviglie in ferro. Tutto veniva utilizzato dal
Reich e trasportato in Germania.
Rabbrividisco quando
vedo la tela ricavata con i capelli di migliaia di donne.
Le celle di punizione
dei detenuti politici, piccolissime e buie, sono sotto terra. Lì si
moriva di fame come padre Kolbe o per mancanza d'aria. Su di un muro
vedo incisa una croce, ultima speranza per il morituro.
Vigliaccamente spero
solo di uscire presto da quell'incubo ed invece i passi stanchi mi
portano ai forni....
Dico solo che le
ceneri venivano utilizzate per conciliare i campi.
Esco da Auschwiz
pensando di aver visto il massimo della ferocia umana ed invece la guida
ci porta a 3 km di distanza nel campo di Birkenau dove avveniva la "
soluzione finale".
Tutto è rimasto come
allora. Il Lager poteva contenere fino a 90.000 persone ed i treni
piombati, carichi di vittime, arrivavano a ritmo serrato. Ripenso a
quanti hanno varcato quella soglia, alla dignità tolta fin dal primo
momento, alle sevizie subite e come Primo Levi dico: "se questo è un
uomo...."
La nostra guida
spiegando l'arrivo dei russi e la liberazione dei pochi superstiti dice:
"Voi dite che siamo stati liberati dai nazisti, noi polacchi diciamo che
siamo passati sotto un altro invasore".
Esco all'una da quell'inferno.
Gli occhi dell'anima
continuano a vedere il voto incavato di padre Kolbe con gli immensi
occhi puntati oltre il destino.
Sfioro le cupe
torrette a guardia del triplo filo elettrificato e mi allontano
silenziosa mentre la periferia dello sguardo continua a vedere la fiamma
che vibra nel monumento alla memoria.
Per non dimenticare.
Giulia