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		L'ESSENZA VITALE  
		  
		Che l'intima essenza vitale dell'uomo venga 
		dall'amore chiunque riflette è in grado di capirlo: dalla sua presenza 
		viene il caldo, dalla sua assenza il freddo e dalla sua privazione la 
		morte di tutto. Si deve sapere che la vita di ognuno è in relazione 
		all'amore che possiede.  
		Ho imparato a conoscere la letteratura dei 
		Paesi nordici per merito dell'editrice milanese Iperborea e delle sue 
		traduzioni - sempre limpide - di romanzi scritti in lingue alla 
		maggioranza di noi tutti impervie. Così, nell'intenso e originale 
		romanzo Uomini famosi che sono stati a Sunne dello scrittore svedese 
		Göran Tunström (1937-2000) m'imbatto nel paragrafo che sopra citavo. 
		Senza amore si piomba in un inverno gelido, anzi, si procede lentamente 
		verso la morte interiore. Già s. Paolo non esitava ad affermare: «Se 
		avessi il dono della profezia, conoscessi tutti i misteri e tutta la 
		scienza e possedessi la pienezza della fede da trasportare le montagne, 
		ma non avessi l'amore, non sarei che un nulla» (1 Corinzi 13,2). 
		 
		Scrive ancora Tunström in un'altra pagina 
		del suo romanzo: «L'amore consiste nello scambiarsi mondi. Nell'avere un 
		territorio sconosciuto da cui trarre esperienze e racconti, fonti 
		segrete da cui attingere l'acqua fresca della conoscenza». E' vero: 
		quando si ama, ci si scambia quel mondo interiore che è l'anima di 
		ognuno e si scoprono in sé capacità inattese e segrete, vere e proprie 
		sorgenti di conoscenza e di azione. Certe cose che per nessuna ragione 
		avremmo voluto o saremmo stati in grado di attuare, vengono fatte con 
		lievità, facilità e gioia solo per amore.  
		  
		TROPPO  
		Un poeta ha sempre troppe parole nel suo 
		vocabolario, un pittore troppi colori nella sua tavolozza, un musicista 
		troppe note sulla sua tastiera.  
		Così dichiarava lo scrittore francese Jean 
		Cocteau nel suo Le coq et l'Arlequin (1918) registrando un fenomeno che 
		è sperimentato dagli artisti. Essi hanno di fronte a sé la vastità del 
		vocabolario, lo spettro variegato dei colori, l'infinita combinazione 
		delle note e devono far nascere la loro opera da una scelta. Il genio 
		non è colui che accumula ma colui che seleziona e toglie: un nostro 
		scrittore famoso, Italo Calvino, ricordava che l'arte deve sempre 
		modellarsi sull'opera dello scultore che per creare deve appunto 
		togliere materiale dal blocco informe di marmo che ha di fronte. 
		 
		Noi spostiamo l'accento su quel "troppo" 
		che è un po' la sigla di questi nostri tempi. Eccesso di parole, eccesso 
		di immagini, eccesso di suoni e di rumori: immersi in questa valanga, 
		perdiamo il gusto della sobrietà, dell'essenzialità, dell'incisività. A 
		tavola ci abbuffiamo, in casa siamo inondati dalle voci e dalle figure 
		della televisione, fuori siamo travolti dal fracasso e dalla 
		chiacchiera. Si dice che sul tempio a Delfi ci fosse la scritta greca 
		medén ágan, che i latini hanno trasformato nella formula Ne quid nimis, 
		ossia non ci sia un troppo in alcuna cosa o azione. Il non esagerare 
		nell'ostentazione di sé, nel possesso, nell'arroganza e così via è una 
		scelta che forse ci isola ma - non dimentichiamolo - l'avverbio "troppo" 
		ha dato origine alla parola "truppa" e "intrupparsi" in un gregge ottuso 
		non è una scelta elogiativa della persona. 
 IL MATRIMONIO
 
		Un buon matrimonio è quello in cui ciascuno 
		dei due nomina l'altro custode della sua solitudine.  
		Il matrimonio deve continuamente combattere 
		contro un maestro che tutto divora, l'abitudine.  
		Mese per eccellenza "nuziale" (tante coppie 
		scelgono, infatti, questo periodo primaverile per consacrare il loro 
		amore), maggio ci offre l'occasione di riflettere su questa realtà 
		radicale a cui tutti siamo legati, almeno come figli. Sul matrimonio si 
		sono costruiti infiniti proverbi, battute, ironie, barzellette spesso di 
		impronta maschilista. Sono andato, invece, a cercare due considerazioni 
		che possono stimolare una riflessione più ampia. La prima, a prima 
		vista, è amara e viene dall'epistolario di quel grande poeta austriaco 
		che fu Rainer M. Rilke (1875-1926). Sì, purtroppo in molti casi il 
		matrimonio si riduce ad essere una convivenza di solitudini, gestite 
		alla meno peggio, ma sempre pronte a esplodere.  
		Tuttavia c'è un aspetto positivo da 
		segnalare in quella frase: certo, bisogna essere "una carne sola", come 
		dice la Bibbia, amarsi totalmente, ma sapendo rispettare l'altro, 
		lasciandogli una sua dignità e una sua intimità spirituale, perché anche 
		«le corde di un liuto sono sole, sebbene vibrino di una musica uguale» 
		(K. Gibran). La seconda osservazione è del romanziere francese Honoré de 
		Balzac (1799-1850) e punta su un rischio indiscutibile della vita in 
		comune, l'abitudine. Essa è positiva quando significa consuetudine e 
		sintonia, ma guai a perdere ogni freschezza, cadendo nel grigiore 
		assoluto e scontato. Con pazienza e amore bisogna sempre introdurre un 
		filo di novità, tenerezza, sorpresa.  
		Gianfranco Ravasi |