VACANZE DI UNA VOLTA

In vacanza, a Falcade Alto, ci sono stata verso il 1965, per due anni di seguito.

Lì la mia parrocchia aveva preso in affitto l’ex canonica, ormai non più abitata e rimasta con i suoi pavimenti  di legno, un bellissimo “fogher”, una camera con un quadro ad olio che ritraeva un prete dallo sguardo penetrante.

Delle altre stanze non ricordo niente. Questa casa ospitava le ragazze che soggiornavano (mentre i ragazzi erano sistemati in un altro edificio).

Io consumavo quindici giorni di ferie per vivere assieme a loro, aiutarle nelle loro necessità, e vivevo con loro a tempo pieno.

Questi giovani non conoscevano la montagna, ci arrivavano senza equipaggiamento: bisognava aiutarli a convivere e ad una certa disciplina di comunità.

Ricordo bellissime gite ed una in particolare: da Falcade al rifugio Mulaz, quindi verso il Pradidali scegliendo -ad un bivio- la sinistra e proseguendo poi, attraverso una lunghissima valle ghiaiosa, fino alle cascate di Gares per giungere, infine, a Canale d’Agordo.

Un’altra la effettuammo attraverso il passo Ombrettola e la valle Cirelle fino al rifugio Contrin, e quindi ad Alba: da lì, in corriera, al Passo  San Pellegrino e a Falcade. Giungemmo distrutti.

     A Falcade c’era un parroco alpinista che, in un pomeriggio di domenica, aveva scalato tutte e tre le cime del Focobon.

I quindici giorni volavano: per me non erano ferie di tutto riposo, ma la mente si scrollava di dosso tutte le tensioni del lavoro e della vita in città.

     A Falcade Alto c’era un oste che vendeva di tutto e si chiamava Dante: era molto benevolo, ci ospitava nei giorni di pioggia e la sera  il suo locale diventava il nostro “pub”, in cambio dei nostri pochi spiccioli.    In piazza c’era una fontana che dava ottima acqua; c’era, sopra la chiesa, un cimitero molto vecchio e non più usato.

Sono tornata lì dopo molti anni: Dante era morto, la fontana era sempre lì con la sua bella acqua, al posto del cimitero c’era un parcheggio, la canonica era perfettamente restaurata e pensai con tristezza che fosse stata venduta ad estranei.

                                                                                                              I s a

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