Dio
ci vuole felici e liberi. Noi facciamo di tutto per riuscirci a modo
nostro. A volte facciamo una bella frittata della vita. Ci vuole
qualcuno che ci riprenda in mano, che ci rimetta in piedi.
Ciò avviene per tutti: assassini, ladri,
adulteri, mafiosi e avanti possono pentirsi e riprendere la strada,
perdonati. I divorziati no. Possono solo prendere una strada parallela,
secondaria, sterrata.
C’è una ragione. Sta nel sacramento,
parolone che tira in campo Dio, terzo componente l’amore del matrimonio.
Dio non si pente, è fedele. Non ci sono santi.
Le situazioni sono sempre complesse,
intricate per il diritto di ognuno di avere rispetto e giustizia. Forse
è da vedere in altro modo il fatto.
Dio è sì testimone e protagonista di ogni
amore. Ma è anche rinnovatore della vita e si china su ogni caduto sulla
discesa verso Gerico. Non chiede al caduto se è divorziato e risposato,
si china sul caduto e lo porta alla locanda. Ha sempre l’olio e il vino
di circostanza.
La locanda ufficiale afferma che ci sono
mille modi per essere in comunione: la preghiera, la lettura della
parola di Dio, la croce portata con Gesù, la carità autentica, la vita
di comunione nella comunità e tante altre vie. Ma quella della comunione
sacramentale no. Ma è proprio quella che rinnova la vita.
E’ tempo di aprire gli occhi e il cuore. La
carità di Dio è creatrice e può rinnovare tante coppie in sofferenza,
che cercano la strada. L’amore è esigente, impegnativo, chiaro, umile.
Come pure è generoso, imprevedibile, senza limiti di dono e offerta di
sé. Dopo la nebbia viene il sole. E la strada si illuminerà.
L’ESPERIENZA DI SERENELLA, ESCLUSA DALL’EUCARISTIA MA IN PACE CON DIO E
LA CHIESA
ANCH’IO DIVORZIATA E RISPOSATA
«Non mi pento della scelta che ho fatto», dice Serenella. «Anche se
vivo come un castigo l’esclusione dalla Comunione. Al di là dei
sacramenti, credo nella misericordia di Dio».
Caro padre, sono una divorziata risposata.
Dopo aver letto la lettera "Ho gettato Dio in pattumiera" voglio
raccontarle la mia storia. Fin da bambina sono stata educata alla fede,
e quando mi sono sposata ero convinta che il matrimonio fosse per
sempre. Purtroppo, dopo solo un anno, mio marito ha trovato l’"amore
vero", come lui l’ha definito. Prima di lasciarmi, ha cominciato a
demolirmi psicologicamente. Restava fuori casa di notte e anche nei
giorni festivi. Ho sofferto e, più volte, sono stata umiliata.
Io non avevo una famiglia alle spalle cui
appoggiarmi. Anzi, in quel periodo mia nonna stava morendo. Non ho avuto
il coraggio di dirle nulla. Ma lei mi scrutava con gli occhi dell’amore.
E, sicuramente, deve aver capito il mio malessere. Dopo la separazione,
sono andata all’estero a cercar lavoro. Il mio ex marito,
"amorevolmente", mi ha accompagnato alla stazione. Per mesi, ogni
mattina mi svegliavo con un forte mal di pancia. Ho sperato e pregato
che lui venisse a riprendermi e riportarmi a casa. Ma non è successo
nulla.
Quando sono rientrata in Italia avevo 24
anni. Che cosa dovevo fare? Rimanere da sola per il resto della vita? Ho
incontrato, invece, l’uomo col quale vivo ormai da 26 anni. Abbiamo due
figli adolescenti, ai quali non abbiamo mai raccontato la nostra storia.
Le difficoltà non mancano, ma ci vogliamo tanto bene. E, soprattutto,
non ci siamo mai allontanati dalla Chiesa. Io sento che il Signore ci è
vicino, ci aiuta e ci conforta nelle difficoltà. Anche se sento come un
castigo il fatto che, in quanto divorziati risposati, non possiamo
accostarci all’Eucaristia. Ma non mi pento della scelta che ho fatto.
A Messa, al momento della comunione, recito
sempre queste parole: «Signore, io non sono degna che tu entri nella mia
casa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvata». E ci credo. E
confido in queste parole. Pertanto, a chi "ha gettato Dio in
pattumiera", vorrei dire che l’importante è credere, pregare e seguire
le vie che il Signore ci indica tramite la Chiesa. Dio non farà mancare
la sua misericordia.
Serenella
Serenella racconta sottovoce la sua
storia sofferta e tormentata. Non si lamenta, non urla contro nessuno,
non se la prende con le persone o con la Chiesa. Si limita a presentare
la sua esperienza per convincere qualcuno a non "buttare Dio nella
pattumiera". È questo il messaggio essenziale della sua lettera. E lo
riassume con parole che sono frutto della sua esperienza. Penso che
abbia descritto molto bene quale dovrebbe essere l’atteggiamento di un
divorziato risposato, credente e fedele alla Chiesa.
Non sono molte le persone che, dopo
essersi separate e risposate, accettano con semplicità e umiltà il non
poter accedere, ad esempio, ai sacramenti. Quasi sempre raccogliamo il
lamento per una segregazione e un’esclusione, ritenute ingiuste e
insostenibili. Certo, c’è una limitazione, anche pesante.
Ma l’importante non è raggiungere quello che si desidera, ma restare in
comunione con Dio e far parte della comunità ecclesiale.
È significativo che, quando Gesù dice di
essere insistenti nella preghiera, non ci garantisce che otterremo
quello che chiediamo, ma assicura che invierà lo Spirito, che ci aiuterà
a capire ciò che dobbiamo fare. Tante volte i lamenti dei divorziati
risposati, che nascono da situazioni di vera sofferenza, rischiano di
essere "sterili": si cercano i responsabili, si accusano gli altri di
insensibilità, si praticano vie alternative... Si distoglie, invece,
l’attenzione dalla cosa più importante: affidarsi alla misericordia di
Dio con semplicità, «come un bimbo svezzato tra le braccia della madre»,
come leggiamo nel Salmo 131.
Serenella considera la Chiesa come una
madre, che la prende tra le braccia e la porta alla salvezza. Assume
l’atteggiamento di chi resta in fondo al tempio e non ardisce avanzare,
invocando la misericordia di Dio. Sembra di riascoltare la parabola del
fariseo e del pubblicano. Mentre il fariseo stava in piedi davanti a Dio
e si vantava dei suoi meriti, il pubblicano, in fondo al tempio, si
batteva il petto, confessandosi peccatore. «Io vi dico», dice Gesù,
«questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché
chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14).
Forse, va ricordato che nella nostra
vita "tutto è grazia", anche per quelli che si "sentono a posto" e si
accostano alla comunione. È Dio che concede il privilegio di entrare in
profonda intimità con lui. Dono, questo, che non nega a nessuno. Neppure
a chi non è riuscito a vivere l’amore in modo fedele e indissolubile.
Dio non si lascia vincere in generosità e – come ascoltiamo a Messa – «a
tutti viene incontro, perché quelli che lo cercano lo possano trovare».
Serenella accetta questo cammino, perché
è certa della misericordia di Dio e della premura della Chiesa. Che ai
divorziati risposati ricorda che troveranno «la misericordia di Dio per
altre vie, non per quella dei sacramenti della penitenza e della
eucaristia-comunione».
Resta, infine, aperto un punto delicato:
come raccontare ai figli la propria storia, perché possano trarne
insegnamenti preziosi per la vita? A mio parere, bisogna partire dalla
fiducia in Dio, che non abbandona le sue creature, in nessuna
situazione. Anzi, sa trarre il bene anche dalle vicende tristi. Così,
Serenella e suo marito sapranno trasmettere la loro storia e la gioia di
sentirsi sempre amati da Dio. Che non li ha lasciati in balìa degli
eventi umani.
E, anche, della cattiveria degli uomini.
Su questo tema, che riguarda tante
persone nella Chiesa, sarebbe interessante aprire un confronto,
raccogliere e pubblicare altre storie come quella di Serenella: per
sapere come altri divorziati risposati vivono il loro rapporto con Dio e
la Chiesa. E come hanno saputo raccontare ai figli la storia del loro
matrimonio. |