Quando andiamo ad
ascoltare le letture della Messa, sentiamo spesso la frase.
“dalla lettera di S. Paolo Apostolo ai Romani”. Questo significa
che S. Paolo scrive una lettera agli ebrei di Roma, cioè ebrei
convertiti alla fede cristiana ma cittadini romani (siamo
all’incirca nell’anno 57 d.C.).
La mentalità di
queste persone era di stretta osservanza ebraica, così come lo
era stata inizialmente quella di S. Paolo.
Essi pensavano che
per agire con giustizia e secondo Dio si dovessero osservare
tutte le regole insegnate da Mosè, ed arrivavano fino ai limiti
della pignoleria, senza curare le leggi del cuore e dell’amore.
S. Paolo ci fa
osservare che Dio non è solo Dio degli Ebrei, ma di tutta
l’umanità, che non può esistere un Dio “razziale”, che preclude
la salvezza a popolazioni diverse dalla loro.
Quello che cambia
la stretta osservanza nel credere che le nostre sole opere ci
rendano “giusti” è la fede nella divinità di Gesù Cristo morto e
risorto. Se non si crede nella divinità di Gesù e nella sua
capacità di risorgere, si cade nell’incapacità di credere che
anche noi risorgeremo come dono nella fede in Lui.
E se noi non
crediamo in questo, apparteniamo ad un’altra religione, ad una
religione che non ci salva.
La cronica
incapacità di amare (anche i nemici) che abbiamo tutti dipende
dal peccato originale, che ci ha resi fragili e ci costringe a
lottare ogni giorno per raggiungere lo scopo di superare
l’egoismo.
Quello che ci
assimila a Gesù cristo è la lettura del Vangelo, dell’Antico
Testamento e la partecipazione alla comunione.
Per difendere
questi concetti S. Paolo è stato ammazzato , e tutt’ora vengono
ammazzati uomini e donne in tutto il mondo, e noi non ce ne
interessiamo; migliaia di uomini sacrificano la loro vita ,
affrontano solitudine, sofferenza, povertà.
S. Paolo ci ha
spalancato il cuore di Dio: tutti i Santi ce lo testimoniano. |