"Lasciatemi andare alla casa del Padre"

 

(le ultime parole di Giovanni Paolo II raccontate suo segretario ora Card. Stanislaw Dziwisz)
La profonda unione con Dio di Giovanni Paolo II e la sua partecipazione al misterium pasquale si svelarono in tutta la pienezza negli ultimi giorni della sua vita. Il corpo s'indeboliva sempre più, ma er
a rimasto forte nello spirito e «amando fino alla fine» (Gv. 13,1).

Per la prima volta il Papa non poté presiedere i riti del Triduo pasquale. «Sono spiritualmente con voi al Colosseo. - scrisse il venerdì santo nel messaggio destinato a coloro che partecipavano alla Via Crucis - L'adorazione della Croce ci rimanda ad un impegno al quale non possiamo sottrarci: la missione che san Paolo esprimeva con le parole: "Completo quello che manca nella mia carne ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col. 1,24). Offro anch'io le mie sofferenze, perché il disegno di Dio si compia e la sua parola cammini fra le genti».

Stava seduto davanti all'altare nella sua cappella privata, seguiva la celebrazione su uno schermo televisivo e pregava. Alla stazione quattordicesima, prese nelle mani il Crocifisso e strinse a esso il volto segnato dalla sofferenza, come se volesse dire come Pietro: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo» (Gv. 21,17).

L'amore di Cristo, più forte della morte, lo confortava nello spirito e avrebbe voluto esprimerlo la domenica della Risurrezione, quando a mezzogiorno apparve dalla finestra per impartire la benedizione Urbi et Orbi. A motivo della commozione e della sofferenza non riuscì tuttavia a pronunciare le parole, fece soltanto il segno di Croce con la mano e con un gesto rispose ai saluti dei fedeli. Questo gesto d'impotenza, di sofferenza e di amore paterno, come anche quel toccante silenzio del successore di Pietro, lasciarono un'impressione indelebile nei cuori degli uomini di tutto il mondo. Anche il Santo Padre fu profondamente scosso da questo evento. Dopo essersi allontanato dalla finestra disse: «Sarebbe forse meglio che muoia, se non posso compiere la missione affidatami», e subito aggiunse: «Sia fatta la Tua volontà... Totus tuus». Nella sua vita non aveva desiderato null'altro.

Non temeva la morte. Per tutta la vita aveva avuto Cristo come guida e sapeva di andare da Lui. Durante le celebrazioni del Grande Giubileo dell'anno 2000 scrisse nel suo Testamento: «Gli chiedo di volermi richiamare quando Egli stesso vorrà. "Nella vita e nella morte apparteniamo al Signore... siamo del Signore" (Rm. 14,8)». Era stato sempre profondamente consapevole che l'uomo, al termine del pellegrinaggio terreno, non è condannato a cadere nelle tenebre, in un vuoto esistenziale o nell'abisso del nulla, ma è chiamato all'incontro con il più buono dei padri, il quale accoglie amorevolmente tra le sue braccia il proprio figlio, per donargli la pienezza di vita nella Trinità santissima.

Sapendo che per lui si stava approssimando il tempo di passare all'eternità, d'accordo con i medici aveva deciso di non recarsi all'ospedale ma di rimanere in Vaticano, dove aveva assicurate le indispensabili cure mediche. Voleva soffrire e morire a casa sua, rimanendo presso la tomba dell'apostolo Pietro. L'ultimo giorno della sua vita — sabato 2 aprile — si congedò dai suoi più stretti collaboratori della Curia romana. Presso il suo capezzale continuava la preghiera, a cui partecipava, nonostante la febbre alta e un'estrema debolezza. Nel pomeriggio, a un certo momento disse: «Lasciatemi andare alla casa del Padre».

dal volume “Lasciatemi andare
La forza nella debolezza di Giovanni Paolo II”
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