41) GERARDO DE TACCOLI (1184-1197)

 

Avvenuta la morte del vescovo Ottone, il papa Lucio III (1181-1185) creò vescovo di Belluno Gerardo de Taccoli da Reggio Emilia. (1)

Con Bolla data in Verona il 14 Ottobre elencò i diversi luoghi sopra i quali si estendeva la giurisdizione, «così temporale come spirituale» della sede di Belluno. (2)

Il papa mostrò anche di essere bene informato dei continui soprusi ai quali veniva sottoposta la chiesa di Belluno; per cui decise di prenderla sotto la sua diretta protezione al fine di sottrarla alle angherie dei trevigiani e dello stesso patriarca.

E' probabile che il vescovo Gerardo, prima di venire a Belluno, abbia partecipato ai funerali di Lucio III che morì in Verona il 24 novembre dello stesso anno 1185.

Ed è anche probabile che, come feudatario dell'impero, abbia fatto il suo atto di omaggio e il giuramento nelle mani di Federico imperatore che pure si trovava in Verona.

Appena entrato nella sua sede in Belluno, fece restaurare le mura della città dotandole di merlatura e torri: fece costruire una grande piazza «il Foro» che fosse di uso comune per tutti i cittadini: volle costruire un palazzo turrito per la sua residenza. (3)

Ebbe però modo anche di constatare quanto venissero calpestati i diritti della sua chiesa.

Alla morte di Lucio terzo i trevigiani si affrettarono a presentarsi al suo successore Urbano III, supplicandolo a liberarli dalla scomunica del patriarca di Aquileia; e in quella circostanza promisero anche di restituire le possessioni e i castelli che appartenevano ai bellunesi, come era chiaramente descritto e specificato nella Bolla di papa Lucio III. (4)

Di fatto però, mai si decidevano a questa restituzione.

Per entrare in possesso dei suoi diritti, Gerardo tentò da prima le vie paci-fiche: si recò dal patriarca di Aquileia e gli espose i suoi gravi problemi, pre­gandolo di convocare un concilio regionale per dirimere ogni controversia.

Il patriarca Gottifredo fu ben lieto di accondiscendere al desiderio del vescovo Gerardo; tanto più che egli stesso aveva modo di constatare a proprie spese, come in realtà i beni delle chiese venissero dilapidati per le continue lotte tra guelfi e ghibellini.

Convocato il concilio, vi parteciparono tutti i vescovi della regione: e fu deciso di emanare un decreto con il quale si rendeva noto che il concilio scomunicava tutti coloro che devastavano le chiese e i beni di esse, e coloro che si rifiutavano di restituire alle chiese tutto quanto fosse da essi illegalmente posseduto.

Pur tuttavia i trevigiani persistevano nel loro rifiuto di restituire quello che di diritto aspettava alla chiesa bellunese.

Esasperati i bellunesi nel constatare che nessuna sentenza nè di concilio, nè di imperatore, nè di papa riusciva a far smuovere i trevigiani dalla loro ostinazione, decisero di far ricorso alle armi, assicurandosi prima il favore e l'aiuto di uomini potenti. (5)

A tale scopo il vescovo Gerardo, con altri bellunesi, si recò da Megnardo conte di Gorizia, che estendeva il suo dominio anche nella Carinzia e nel Tirolo, per procurarsi la sua amicizia e il suo aiuto. (6)

Accolto con grande cordialità, strinsero tra loro alleanza con la promessa di aiutarsi vicendevolmente in ogni circostanza.

Ritornato in Belluno, Gerardo convocò tutti i suoi feudatari: espose loro la situazione e fece conoscere quali erano le sue intenzioni: raccomandò a ciascuno di mettersi sul piede di guerra, predisponendo quanto poteva essere necessario in uomini, cavalli, carri, scale ecc. (7)

Matteo Senese, vescovo di Cèneda, che si trovava in Belluno in qualità di Delegato del papa Urbano III per dirimere la controversia tra i canonici di Belluno e Drudo da Camino vescovo di Feltre per il possesso del territorio di Vedana, rimase fortemente impressionato da questi preparativi di guerra: e temendo che la furia si potesse riversare anche sopra di sè, pensò di riavvicinarsi ai trevigiani e fece alleanza con loro. (8)

Ma le cose si calmarono per l'intervento del Nunzio dell'imperatore Enrico VI il Ciclope, il quale rimise ogni decisione all'arbitrato dei Consoli delle città di Mantova e di Verona. (9)

I contendenti furono invitati a presentarsi nella città di Mantova per esporre ognuno le proprie ragioni.

Il vescovo Gerardo vi andò accompagnato dai consoli e sindaci di Belluno. (10)

Sentite le parti, gli arbitri sentenziarono «che il castello di Zumelle, con tutte le sue ragioni, possesso già dalla contessa Sofia e da Guecello suo marito, e tutto quello che i trevigiani aquistorno dalli figlioli di Gabriele da Camino, fosse de Bellunesi: dovendosi però distruggere il Castello di Zumelle, acciò fosse levata l'occasione della discordia» .(11)

Le terre di Oderzo, Fregona, Mussolente e Soligo dovevano essere restituite a Belluno, e i trevigiani non potevano vantare su di esse diritto alcuno. (12)

Queste decisioni non riuscirono gradite ai trevigiani... «e non vollero giurar la sentenza tra loro e il popolo Bellunese». (13)

Delusione e amarezza fu quanto il vescovo Gerardo portò in cuor suo nel ritorno in Belluno.

Radunati pertanto i maggiorenti della città e del contado; constatato che tutte le sentenze pronunciate in loro favore non erano state sufficienti per reintegrarli nei loro diritti, decisero di por mano alle armi per recuperare con la forza quanto loro spettava di diritto. (14)

Anche il vescovo di Feltre, Drudo da Camino, decise di sostenere la causa dei Bellunesi; mentre il Patriarca di Aquileia, i cenedesi, i coneglianesi e i padovani si impegnarono a far atti di disturbo ai confini con i trevigiani per indebolire la loro potenza. (15)

Dopo che il campanone (la Trevisana) aveva suonato a lungo, il 6 Aprile 1196, il vescovo Gerardo uscì dalla città alla testa del suo esercito.

«Era uomo alto di statura, di bella e maestevole presenza... et era di tanta eloquenza che con quella, mirabilmente moveva gli animi di ognuno a porsi a qualunque più risigata impresa» . (16) 6)

Congiuntosi ai feltrini diede l'assalto al castello di Mirabello sopra il colle di Sedico, ed espugnatolo dopo otto giorni di furibonda lotta, lo incendiarono e distrussero insieme con tutti gli edifici adiacenti. (17)

Passarono poi sotto il castello di Landrìs (18) «et con mortalitate dambe le parti lo presero e lo distrussero facendo prigionieri quaranta soldati tra cavalieri, pedoni e sagittarij». (19)

Entusiasmati per queste vittorie, senza perder tempo, passato di notte il Piave con gran silezio, Gerardo condusse i suoi soldati sotto Casteldardo, sorprendendo nel sonno i difensori; i quali, svegliatisi quando i bellunesi erano già sopra le mura, opposero strenua resistenza.

Si arresero alla fine, e furono fatti prigionieri, mentre alcuni, usciti per un pertugio delle mura, riuscirono a rifugiarsi nel castello di Zumelle.

Tra i prigionieri vi erano sei cavalieri trevigiani, qualificati come tra i più importanti.

Rasero a terra il castello facendolo rovinare nel torrente Ardo «a ciò che in questo non si annidasse più trevigiano alcuno». (20)

II 6 maggio espugnarono la Chiusa di Quero, facendo grosso bottino e se ne ritornarono trionfanti in Belluno conducendo con sè sessantasei soldati prigionieri. (21)

Udite queste nuove, i trevigiani cercarono di correre ai ripari ed inviarono nel zumellese Valperto da Onigo, detto anche «il Cavassico», con una grossa banda di soldati vicentini.

Lo prevenne però il vescovo Gerardo il quale volse il suo esercito verso Zumelle e più sopra ancora verso il passo di Praderadego, dove i soldati feltrini e bellunesi, con abile colpo di mano, si impossessarono di «una torre ch'era nel Canal di Banca fabricata» (22) e distruttala, condussero seco prigionieri 18 ladroni.

Questa torre probabilmente era una postazione di vedetta (forse di origine romana) posta a cavallo del valico e occupata dai trevigiani per la sua enorme importanza strategica.

Assicuratisi così le spalle da possibili colpi di mano nemica da Sud, diedero l'assalto al castello di Zumelle, il quale fu conquistato dopo diciassette giorni di continui assalti, il 24 giugno 1196: e fu incendiato e raso al suolo. (23)

Dopo di che i soldati ritornarono in Belluno pieni di esultanza. Ma la primavera seguente furono i trevigiani a prendere per tempo l'iniziativa. Valperto, con i suoi soldati, valicò i monti sopra Valmareno e, giunto a Cesana, pose in ordine di battaglia il suo esercito, deciso di quivi aspettare i bellunesi.

Vi giunse anche il vescovo Gerardo: e benchè i suoi soldati fossero stanchi per la lunga marcia, li arringò con la sua infiammata eloquenza; e tutti concordi decisero di entrare in campo.

Da ambo le parti il corno di guerra fece risuonare a lungo il suo rauco suono, e si diede inizio a una tremenda battaglia che tra urla, rantoli, e grida di incitamento si protrasse per sei lunghe ore con incerta fortuna. (24)

«Scorreva il vescovo di lucid'arme armato, soccorrendo dove era il maggior bisogno; inanimando i suoi a ben ferire, fin che da Gualperto con una lancia ferito fu dal cavallo gettato, e fatto dalli nemici pregione fu negli alloggiamenti condotto» . (25)

Diffusasi la grave notizia per il campo, seminò il panico tra i soldati bellunesi e feltrini: e tutti cercavano la salvezza nella fuga, mentre molti rimanevano uccisi o fatti prigionieri.

Anche Valperto cadde sul campo: mentre continuava ad infierire sul ne­mico in fuga, fu sorpreso e colpito dalla lancia di un soldato. (26)

Cessò allora l'inseguimento.

I trevigiani, ritornati nei loro alloggiamenti, «per vendicare in qualche modo la perdita del loro Capitano, scaricarono il furore sopra il povero vescovo Gerardo, trascinandolo per i boschi, finchè, fra tanti strazi, rimase mi­seramente estinto ed amaramente difformato». (27)

Era il 20 aprile 1197.

Dopo la vittoria i trevigiani si affrettarono ad occupare il castello di Zumelle e lo ricostruirono: quindi si volsero verso Oderzo occupando e devastando tutte le terre e i castelli che i bellunesi possedevano in territorio trevigiano. (28)

«L'infausta nuova riportata dal Patriarca di Aquileia al pontefice Celestino, della spietata morte del vescovo Gerardo e delle continue molestie che praticavano i trevigiani nei territori di Feltre e di Belluno, provocò il santo pastore a fulminare le censure di scomunica e interdetto contro de' trevigiani». (29)

«Questo fine miserevole hebbe Gerardo vescovo di Belluno, huomo nell' armi egregio, il quale per beneficio de Bellunesi, et per honor della sua chiesa espose la propria vita ad una morte quasi manifesta» .(30)

Di lui è doveroso ricordare che fece anche costruire di nuovo quella parte del ponte di Polpet che è posta verso Lastreghe.

Ebbe sollecitudine anche per il suo Presbiterio e «lassò alla Canonica di Belluno un podere in Mussolento et uno in Podenzoio. Onde ebbe fine non condegno all'animo suo nobilissimo...». (31)

 


I) Cfr. Piloni, pag. 162 e seguenti.

2) Piloni, pag. 162.

3) Piloni, pag. 178.

4) Cfr. Piloni, pag. 168.

5) Cfr. Piloni, pag. 167.

6) Cfr. Piloni, pag. 167.

7) Cfr. Piloni, pag. 167.

8) Cfr. Piloni, pag. 167-168.

9) Cfr. Piloni, pag. 168.

10) Cfr. Piloni, pag. 169.

11) Piloni, pag. 169.

12) Cfr. Piloni, pag. 169.

13) Piloni, pag. 175.

14) Cfr. Piloni, pag. 175.

15) Cfr. Piloni, pag. 175.

16) Piloni, pag. 176.

17) Cfr. Piloni, pag. 176.

18) Piloni mette Landredo.

19) Piloni, pag. 176.

20) Piloni, pag. 176.

21) Cfr. Piloni, pag. 176.

22) Piloni, pag. 176 e A. Alpago Novello specifica che «Canal di Banche è la stessa cosa che Praderadego, come risulta p.e. da concessioni minerarie del tempo della Repubblica Veneta». Vedi nota in «Da Altino a Maia sulla via Claudia Augusta» pag. 66. Cfr. anche Arch. Storico ecc. pag. 1315.

23) Cfr. Piloni, pag. 176.

24) Cfr. Piloni, pag. 177.

25) Piloni, pag. 177.

26) Cfr. Piloni, pag. 177.

27) A. Cambruzzi, «Storia di Feltre», pag. 185.

28) Cfr. Piloni, pag. 178.

29) A. Cambruzzi, ibidem, pag. 189.

30) Piloni, pag. 178.

31) Piloni, pag. 178.

 

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