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La tradizione tramandata da antichi Breviari afferma che la sua famiglia
proveniva da Cartagena (Cartago nova) e da nobile progenie
ispano-romana. Suo padre Severiano fuggì verso Siviglia intorno al 554,
davanti agli invasori bizantini, portando con sé la moglie, di cui non
conosciamo il nome: è vero che il figlio Leandro, scrivendo alla sorella
Fiorentina, parla della madre Tortora, ma si tratta probabilmente di una madre
spirituale, forse una vecchia inserviente della famiglia, divenuta poi badessa
del monastero in cui professò Fiorentina. Insieme con i genitori partirono da
Cartagena i tre figli: san Leandro, poi arcivescovo di Siviglia, san Fulgenzio,
poi vescovo di Astigi (Ecija) e santa Fiorentina, che abbracciò la vita
monastica. Probabilmente Isidoro nacque nell'esilio sivigliano tra il 560 e il
570. Alla morte dei genitori, avvenuta quando Isidoro era ancora bambino, Leandro
rimase il capo della famiglia e, da un suo scritto alla sorella Fiorentina, si
desume che curò paternamente l'educazione del fratello più piccolo. Sotto la
sua guida si compì la formazione umana e letteraria di Isidoro. Isidoro, l'autore più letto ed ammirato
nell'alto Medioevo, è l'erede di una tradizione letteraria, fiorita nel Sud
della Spagna, sin dall'epoca pagana, con nomi noti nella storia delle lettere e
nella patrologia. Egli perciò è più conosciuto attraverso i suoi libri che dai fatti
della sua vita.
Isidoro morí intorno agli
ottant'anni; poiché secondo le notizie fornite da san Ildefonso, esercitò
l'episcopato per circa quarant'anni, ed altrettanti dovettero trascorrere
secondo i canoni prima che fosse consacrato vescovo. Egli ebbe il presentimento della morte vicina (« nescio qua sorte iam
prospiceret ») e cercò di prepararsi ad essa con opere di carità,
specialmente distribuendo in elemosina tutti i suoi averi e chiedendo la
pubblica penitenza. Accompagnato dal suo clero e dal popolo, presenti i vescovi
suffraganei, si fece portare, poco prima dell'alba del 31 marzo (Pasqua) 636,
alla chiesa di Siviglia, dedicata al martire san Vincenzo ed in mezzo al coro,
vicino ai cancello, allontanate le donne verso il fondo della navata, ricevette
la penitenza pubblica, in extremis, secondo il rito visigotico, ben
conosciuto dagli storici di questa liturgia e che lo stesso Isidoro aveva
spiegato nel capitolo XVII del libro Il del suo De ecclesiasticis officiis.Uno dei
vescovi lo rivestì col cilicio, un altro cosparse la sua testa di cenere e in
mezzo al pianto generale dei presenti, specialmente della moltitudine dei
poveri, cominciò a dichiarare umilmente le sue colpe, versando copiose lacrime.
Chiese perdono e preghiere, ricevette la Comunione del corpo e del sangue del
Signore e il bacio della pace di quanti lo circondavano, poi fu di nuovo portato
nella sua cella, dove morì dopo quattro giorni, il giovedì 4 aprile. La scienza di Isidoro superò per fama la sua santità. Fu
così straordinario, senza uguale ai suoi tempi, lo splendore della sua
dottrina, che quasi tutte le lodi a lui dedicate per secoli sottolineano più la
gloria del sapiente che l'aureola del santo.
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