interno della Chiesa |
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Quel
9 ottobre, che non dimenticheremo facilmente, stavo stilando un breve
resoconto del secondo anno di vita della nostra Parrocchia. Aveva un
tono semiserio e divertito quello scritto: vi enumeravo tante belle
iniziative riuscite ed anche le immancabili tristezze d'ogni parroco di
questo mondo. Quella lettera non vi perverrà più, perché devo
scrivervi di altre cose. Voi però ne avete intuito il contenuto, e sono
certo che ne terrete conto. Ed eccoci al fatto. Mentre scrivo,
oltre duemila morti mi guardano. Lo so, il loro sacrificio è la cosa più
tremenda di questa tragedia. Le nostre sofferenze, i danni subiti, non
hanno senso se paragonati alla loro morte ed al dolore dei loro
superstiti. E noi ci inchiniamo silenziosi e riverenti alla loro
immolazione, pregando pace alle loro anime ed il conforto della Fede a
chi è rimasto a piangerli. “Non abbiamo fiato abbastanza per
ringraziare il Signore!“, hanno esclamato parecchi, quando si sono
visti salvi. Il ringraziamento che il Signore maggiormente gradisce è
di usar bene della vita.
Mercoledì
9 ottobre appena dopo le ore 23.
Il
Vajont ha tracimato da circa un quarto d'ora. Qui la popolazione in
parte riposa tranquilla. Alcuni stanno alla televisione. E' mancata la
luce. Come mai, se fuori il cielo è sereno? Arrivano affannati i
pompieri a dare la notizia. Bisogna fuggire. Dei volenterosi corrono ad
avvertire dove possono. Suono le campane, ma pochi le sentono. Tolgo dal
tabernacolo il Santissimo e lo porto nella cappella dell'Asilo.
Immediatamente organizziamo il salvataggio dei vecchi e degli ammalati.
Si sfonda anche qualche finestra, temendo che qualcuno non abbia sentito
l'allarme. I borghigiani, mezzo svestiti, si portano verso Belluno, sul
torniquet. Arriva la prima acqua, limacciosa e rabbiosa. In poca tempo
il livello dei Piave cresce a dismisura. Le onde violentissime
trasportano massi, legnami come fuscelli. Le segherie vengono sommerse,
tutto il legname spazzato via. Le case e la strada di via dei Molini
vengono tutte invase. L'onda arriva davanti alla chiesa, volta verso il
“pontet”, ma trova la strada chiusa. Allora scava rabbiosamente e
preme sulla porta della chiesa. Finalmente la sfonda ed entra con un
boato, travolgendo ogni cosa. Fa girare a mulinello i banchi e li
scaraventa sull'altar maggiore. Abbatte la porta della sacrestia (più
bassa della chiesa), solleva il bancone dei paramenti del peso di circa
venti quintali fino a sfondare il soffitto, quindi lo capovolge
vuotandolo di ogni cosa e mescolando tutto nella sua onda limacciosa.
Continuando la sua corsa allaga la sala macchine dell'impianto di
riscaldamento che attendeva l'inaugurazione, e nel risucchio asporta il
materiale che sostiene il coro della chiesa. Il coro si incrina, le
strutture murarie restano fessurate.
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