Estate: non solo vacanze

 

 

... parole del Vicario Generale

al termine del Rito funebre abbiamo rivisto come in un film gli anni della vita e dell’intenso ministero sacerdotale di don Claudio. Le riportiamo così come ci sono state donate.

Tante voci in questo momento vorrebbero unirsi fino a diventare un coro nel rendimento di grazie a Dio per la vita e la morte di don Claudio. Le ascoltiamo.

C’è la parlata ladina del Comelico dove  Claudio, figlio di Felice,  nacque l’11.1.1945 in una grande famiglia che gli trasmise fortezza e fede, virtù quasi scolpite nel volto della mamma  Pierina, mai dimenticata. In Comelico – a Padola – ci fu l’Ordinazione sacerdotale il 26 giugno 1970,  insieme con l’amico don Virginio.

C’è la testimonianza che giunge da Cortina che conobbe gli anni giovanili di don Claudio memorabili per l’impegno verso i giovani, la passione per la musica, l’amore per la montagna e la dedicazione allo studio: lettere, psicologia all’università di Trieste e musica al conservatorio. Con paterna e compiaciuta preoccupazione l’anziano vescovo Gioacchino Muccin prevedeva: quando lo tireranno via da Cortina sarà un grosso problema.

Ma Cortina lo donò generosamente all’Africa. Ed ecco che nel nostro rendimento di grazie irrompono i canti africani insegnati da padre Claudio che in pochi anni era entrato nell’anima di Sakassou e l’aveva interpretata.

E poi, meno vivace ma distinta e forte, la voce dei poveri, dei disabili, delle famiglie, incontrati negli anni della Caritas e dell’ODAR, al villaggio marino del Cavallino, a San Marco, a Passo Cereda. E tutte testimoniano di un impegno infaticabile, raccontano tante storie in cui si è tradotta la carità di questo prete coraggioso, quasi temerario.

Vorrebbero qui parlare le centinaia e centinaia di studenti avvicinati in decenni di scuola: hanno conosciuto un uomo vero, un amico sincero, un educatore intelligente ed esigente.        Poi nel coro entrano, commosse, le voci delle sue parrocchie: san Nicolò di Borgo Piave dove mostrò il volto completo del pastore, capace di valorizzare tante collaborazioni e poi, per cinque anni, troppo brevi, la comunità di S. Gottardo di Mas Peron. Il suo nome resterà legato alla nuova chiesa parrocchiale che egli portò a compimento, abbellì, amò e fece conoscere. Chi vorrà incontrare ancora don Claudio, visitando quella chiesa lo troverà, maestro di ascensioni spirituali  come è stato guida di memorabili ascensioni alpine. Noi gli promettiamo di portare a compimento la sua chiesa, rilevando quelle preoccupazioni, anche economiche, che riempirono tanti giorni e tante sue notti, senza spegnere il sorriso che sapeva riservare specialmente ad anziani, ammalati e ai bambini. Non lo lasciava mancare neppure agli amici e ai confratelli sacerdoti per i quali era un amico disponibile,  infaticabile e stimolante.

Il nostro saluto non avrebbe completezza senza il “grazie” a tutti i presenti, ai parrocchiani di Mas Peron e Borgo Piave, a studenti e insegnanti, ai molti collaboratori, alla comunità di Dosoledo che lo accoglierà e ne custodirà il corpo in attesa della resurrezione. Un grazie commosso ai tanti soccorritori e alle forze dell’ordine che si sono prodigati per lunghe ore lassù sul monte Pore.

E la valanga bianca la nomineremo? Sì, con le parole di un amico: “La valanga bianca lo ha portato al Padre: gli ha dato il biglietto di viaggio più desiderato per un sacerdote, il più sperato per tutti i credenti”.

Infine ascoltiamo ancora una volta don Claudio. Nel brevissimo testamento spirituale, redatto tutto in latino, egli ci dice come muore un cristiano: “Nelle tue mani affido il mio spirito”. Ci confida il segreto della sua esistenza: “Dammi l’amore e sarò ricco abbastanza”. E ci rivolge una domanda: “Confesso a Dio e ai miei fratelli di aver molto peccato. Perciò supplico la Vergine e voi fratelli di pregare per me”.

 

 

(Mons. Vincenzo Savio e don Claudio. Dall'incontro nella chiesa della terra a quello nella Chiesa del cielo)

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