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  sabato 3 aprile 2004  
L'OMELIA DEL PATRIARCA  

CHIESA DI BELLUNO-FELTRE PERCHE' PIANGI?

 

cardinale ANGELO SCOLA

 
     

"Ad Te, omnis caro veniet". Con questo canto Ti consegniamo, o Signore, il Tuo e nostro amato Vescovo Vincenzo.Egli viene a Te, o Signore, come ogni uomo nella sua morte, ma con una morte tutta sua, personale. La sua morte, come la nostra, è un passaggio inevitabile, ma che ci prova duramente. Anzitutto fa sanguinare il cuore delle sue sorelle, dei suoi familiari e degli altri che l'hanno amorosamente assistito lungo la prova della grave malattia.Prova in profondità la grande famiglia salesiana cui fin da bambino apparteneva. Ferisce i molti amici e conoscenti sparsi nei vari luoghi della sua creativa testimonianza ecclesiale.Soprattutto però la sua morte provoca l'acuto dolore del santo popolo di Dio che vive nella Chiesa di Belluno-Feltre ed in modo particolare del suo presbiterio, che il Vescovo Vincenzo ha voluto, fino all'ultimo, privilegiare portando il suo sguardo moribondo su molti dei suoi sacerdoti, personalmente.

Allora, come ci ricorda il Santo Vangelo appena proclamato - un passo su cui il Vescovo Vincenzo tanto ha fatto riflettere la sua Chiesa - siamo forse nel buio provato dalla Maddalena quel mattino di Pasqua? No, o Signore, perché il nostro carissimo Pastore non va nel nulla, ma viene da Te. "Ad Te, omnis caro veniet". Per quanto dura sia questa dipartita, per quanto ribrezzo e rivolta ci provochi la morte fisica, noi intuiamo, in questo preciso momento, nell'evento cosmico di questa Eucaristia, che la Sua vita non è tolta ma trasformata (Prefazio). Il grido di Giobbe suona come una conferma che ora, dalla bara, con l'estrema parola del suo eloquente silenzio, il Vescovo Vincenzo ci indirizza: "Vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero" (Prima Lettura).

2. "Donna, perché piangi?" è la domanda del "giardiniere" alla Maddalena. Questa domanda si è trasformata, qualche tempo fa, sulla penna del Pastore Vincenzo, in quest'altra rivolta a tutto il suo popolo: "E tu, Chiesa di Belluno-Feltre, perché piangi?" (cfr Discernere secondo la volontà del Signore. Lettera pastorale per il secondo anno del Sinodo diocesano). In questo momento questa stessa domanda evangelica diventa ancor più stringente, viene rivolta a ciascuno di noi personalmente. Ed assume in tal modo la forza di una provocazione irresistibile: "Perché piangi?" Come? ci vien da reagire con Maria di Magdala: "Hanno portato via il mio Signore e non dovrei piangere?" Ci è tolto un Pastore, che era un cristiano, un uomo riuscito, e ancora chiedi: perché piangi?Carissimi,noi conosciamo la strada tracciata dalla fede dei nostri padri, con indomito zelo invocata dal Vescovo Vincenzo, perché il nostro pianto non si trasformi in sterile malinconia: ci rattrista la certezza di dover morire, ci rattrista la sua morte, o Signore, ma rifulge in noi la speranza della beata Resurrezione. Certo, si distrugge la dimora del nostro corpo mortale. L'abbiamo visto nel nostro Vescovo Vincenzo l'implacabile procedere del male che stravolge la fisionomia del corpo, ma sappiamo che mentre è all'opera questa distruzione del corpo mortale si prepara l'abitazione eterna del corpo trasfigurato (cfr Prefazio)."Gesù le disse: "Maria!" Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse: "Rabbunì, Maestro!"". Questo scambio di parole, questo incrociarsi di sguardi, sono la potente espressione d'amore dell'incontro definitivo del Risorto con Maria Maddalena. Questo stesso destino attende il Vescovo Vincenzo. Ed attende anche noi.

3. Più acuto si fa allora l'invito del Risorto, Speranza certa della nostra risurrezione: "Non mi trattenere".Non deponiamo la salma del Vescovo Vincenzo nella terra benedetta del cimitero per una pietà rivolta al passato. Come Gesù che, ricevuto cadavere dalle braccia dell'Addolorata, fu deposto nel sepolcro per la gloria della Resurrezione, accompagniamo al sepolcro il Vescovo Vincenzo per il suo passaggio alla gloria. Anche per noi, come per la Maddalena, quindi, dalla ferita provocata da questa morte che è già tutta nella luce della Resurrezione, scaturisce l'impeto ad andar subito e ad annunziare (Vangelo). Non era forse la nostra tiepidezza nell'annunciare il Risorto che tanto tormentava il nostro amato Vincenzo? Mi scriveva il 24 di febbraio 2004 invitandomi per una meditazione sullo stupefacente "Volto di Cristo" del Beato Angelico, col quale si è voluto in santa solitudine immedesimare poche ore prima della sua morte: "Il nostro mondo, quello che abbiamo chiamato "la città", come può essere raggiunto e quasi colpito dall'annuncio di Gesù che l'inchiesta socio-religiosa ha documentato così dolorosamente lontano? C'è un sentiero per entrare in questa "città" con il nome di Gesù?".4. Carissimi, il nostro amato Vescovo ci ha indicato questo sentiero lungo tutta la sua vita. Fin da bimbo ha aderito alla chiamata del Signore, nelle varie modalità e nelle varie città con cui ha esplicato la sua missione di educatore, ma soprattutto nella testimonianza che ci ha dato nel modo di portare la malattia e di affrontare la morte, ci ha indicato la via dell'avventura cristiana. Con una vita segnata certo, come quella di ogni uomo, da fragilità e da limiti, ma ancor più attraversata dal desiderio indomito di immedesimarsi alla croce e alla Resurrezione di Gesù: "In Lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia, ci ha ricordato la Seconda Lettura. Questa grazia tutta meritata da Cristo è stata abbondantemente riversata sul Vescovo Vincenzo. Egli, perché si è liberamente e pazientemente piegato alla volontà di Dio, partecipa ora, come ogni cristiano che muore nel Signore, alla potente azione redentiva di Gesù Cristo. Il Vescovo Vincenzo realmente diventa parte della grande opera pasquale con la quale il Padre ha deciso di "ricapitolare in Cristo tutte le cose". E lo fa in nostro favore, propter nos homines et propter nostram salutem. Con Cristo il Vescovo Vincenzo accompagna anche ognuno di noi, se lo vuole, sulla strada di questa ricapitolazione, cioè del proprio compimento.

Quale miglior garanzia perché la fede possa lenire il nostro dolore?5. Una caparra della certa speranza della sua resurrezione e della nostra ce l'ha donata, ancora una volta, l'amato Vincenzo, con la splendida affermazione del suo testamento spirituale: "Ad ogni buon conto, la cosa più importante è dire a tutti che io sono senza misura contento di Dio. Una meraviglia! Una sorpresa continua". Come non intravvedere in queste parole che la sua morte altro non è se non la manifestazione di un'esistenza riuscita ed ora consegnata al Padre?Essa è quindi feconda e siamo noi, sono tutti i battezzati e tutti gli uomini di buona volontà che operano in questa benedetta terra di Belluno-Feltre, ad esserne fecondati. Già si fa palpabile col Vescovo Vincenzo quello scambio di amorosi sensi che per la fede intratteniamo con i nostri cari che ci hanno preceduto all'altra riva. Ognuno di noi ne trarrà frutto.Il Vescovo ha chiuso la sua esistenza terrena alle ultime parole del canto che fra poco intoneremo: "In Paradisum deducant te angeli schiere di martiri ti accolgano ora, gli Angeli ti portino in Paradiso e tu possa trovarvi riposo con Lazzaro, il povero". Nella speranza certa di questo comune destino già sentiamo lo sguardo amoroso del Vescovo Vincenzo sulle nostre povere persone.

Nel suo sguardo brilla ora il volto di Cristo. E mentre Gesù ci guarda dalla croce all'incombere della Settimana Santa e si aprono per noi le braccia dell'Addolorata, la ferita che ora ci fa soffrire diventi vigilanza perché quella fede che fu la ragione del suo vivere determini sempre di più la nostra persona e la nostra azione. Amen.*Cardinale Angelo Scola

Patriarca di Venezia