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LA
MORTE. Sulla morte di san Isidoro abbiamo la relazione di un
testimone de visu, Redento, suo discepolo e diacono della Chiesa sivigliana. E’
un prezioso testo biografico, la cui autenticità nessuno mette in dubbio, sugli
ultimi giorni e il transito del santo, scritto con la calda venerazione di una
persona a lui molto vicina. Isidoro morí intorno agli ottant'anni; poiché
secondo le notizie fornite da san Ildefonso, esercitò l'episcopato per circa
quarant'anni, ed altrettanti dovettero trascorrere secondo i canoni prima che
fosse consacrato vescovo. Egli ebbe il presentimento della morte vicina («
nescio qua sorte iam prospiceret ») e cercò di prepararsi ad essa con opere di
carità, specialmente distribuendo in elemosina tutti i suoi averi e chiedendo
la pubblica penitenza. Accompagnato dal suo clero e dal popolo, presenti i
vescovi suffraganei, si fece portare, poco prima dell'alba del 31 marzo (Pasqua)
636, alla chiesa di Siviglia, dedicata al martire san Vincenzo ed in mezzo al
coro, vicino ai cancello, allontanate le donne verso il fondo della navata,
ricevette la penitenza pubblica, in extremis, secondo il rito visigotico, ben
conosciuto dagli storici di questa liturgia e che lo stesso Isidoro aveva
spiegato nel capitolo XVII del libro Il del suo De ecclesiasticis officiis.Uno
dei vescovi lo rivestì col cilicio, un altro cosparse la sua testa di cenere e
in mezzo al pianto generale dei presenti, specialmente della moltitudine dei
poveri, cominciò a dichiarare umilmente le sue colpe, versando copiose lacrime.
Chiese perdono e preghiere, ricevette la Comunione del corpo e del sangue del
Signore e il bacio della pace di quanti lo circondavano, poi fu di nuovo portato
nella sua cella, dove morì dopo quattro giorni, il giovedì 4 aprile. Non
sappiamo niente di sicuro sul luogo della definitiva sepoltura. Nel sec. XIII a
Siviglia si credeva che fosse stato inumato a Santiponce (Siviglia Vecchia),
nella stessa chiesa da lui fondata, dove confluivano i cristiani il giorno di
Pasqua, per pregare presso il vuoto sepolcro ritenuto suo. Un'altra tradizione,
ancora più antica, poiché viene attestata da un manoscritto del sec. VIII, afferma
che le sue spoglie riposavano tra quelle dei suoi fratelli maggiori, Leandro e
Fiorentina e che le loro immagini si trovavano sui relativi sepolcri; un
epitaffio in versi latini, incisi su una croce che li sovrastava, dava tutti
questi particolari. Tale iscrizione è trascritta nel citato manoscritto e più
tardi fu attribuita a san Ildefonso.
CULTO
LITURGICO.
La scienza di Isidoro superò per fama la sua santità. Fu così straordinario,
senza uguale ai suoi tempi, lo splendore della sua dottrina, che quasi tutte le
lodi a lui dedicate per secoli sottolineano più la gloria del sapiente che
l'aureola del santo. Vi sono grandi dífficoltà per spiegare l'origine del suo
culto, come di recente ha dimostrato Padre de Gaiffier, benché, a suo tempo,
sia stato esaurientemente studiato da F. Arévalo, l'editore delle opere
isidoriane. Soltanto dopo la traslazione delle spoglie a León nel 1063 il santo
ebbe dei panegiristi che si occuparono dei miracoli da lui compiuti. Forse
contribuì a questo silenzio lo scarso rilievo che la liturgia visigota dava ai
confessori in contrasto con quello dato ai martiri. La memoria di Isidoro si
trova al 4 aprile. Dalla fine del 1063 le spoglie di Isidoro furono trasferite
da Siviglia a Leòn, capitale, allora, del più importante regno della Spagna
del Nord, dove ancora oggi riposano. Abbiamo una perfetta descrizione
dell'avvenimento tramandata da testimoni de visu e delle circostanze
della traslazione.
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